Don Giorgio Mazzanti in una foto di repertorio Il teologo d’origine pesarese ma fiorentino d’adozione era affetto dalla Sla ed è morto all’età di 78 anni - Fotogramma
Teologia, comunità e croce. Sono questi i tre volti del teologo pesarese don Giorgio Mazzanti che l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, ha tratteggiato nell’omelia del funebrale celebrato nella pieve di Sant’Alessandro a Giogoli dove don Mazzanti era priore dal 1987 e dove è deceduto lo scorso 12 marzo all’età di 78 anni. Dal 2017 era costretto al silenzio a causa della Sla, la sclerosi laterale amiotrofica, ma, prima che la malattia progredisse, aveva fatto in tempo a registrare 1.500 sillabe tramite un nuovo sistema di sintesi vocale; in questo modo era ancora possibile ascoltare e riconoscere la sua voce.
Così ha continuato a “predicare sui tetti”, ovvero dalla sua abitazione in cima alla torre medievale dell’antica pieve, scrivendo libri, omelie, poesie e celebrando la Messa in con- tatto video con la sua comunità. Il giorno prima di morire si è collegato con l’Università Urbaniana che ha voluto onorarlo con un Atto accademico dopo oltre vent’anni di insegnamento. «È come se avesse impiegato ogni ultima energia per poter essere presente – dice Pierangelo Muroni, decano della Facoltà di teologia – quasi aspettasse questo momento di congedo dall’Università, tanto che appena 24 ore dopo è venuto a mancare». Una mattinata di studi dedicata alla sua riflessione sulla “teologia nuziale” che ha richiamato uditori anche dalla Nigeria e dalla Cina. «Del resto don Giorgio – prosegue Muroni – era una persona amata e stimata da studenti e docenti.
Era il professore che aveva più tesi in tutta l’Urbaniana perché molti rimanevano affascinati dal suo tratto umano e dal suo pensiero ». Aperto alle diverse culture e ai vari tipi di linguaggio, si è mosso sul filone teologico sacramentale della nuzialità per rileggere il rapporto tra Cristo e la Chiesa. «Grazie alla sua formazione patristica – spiega Muroni – riteneva che proprio la categoria della nuzialità potesse mettere in dialogo le diverse fedi e confessioni». Quella di Mazzanti tuttavia non era una mera speculazione teologica ma una ricerca del mistero di Cristo nella vita quotidiana. «Una teologia vissuta sul campo e non fatta a tavolino – aggiunge Muroni – perché lui il paradigma della nuzialità lo ha vissuto concretamente.
È come se avesse sposato la comunità di Giogoli, prima nella scelta del sacerdozio, e poi aprendo le porte di casa a tutti: nessuno era escluso dal suo abbraccio». Aggiunge Emi Natali, docente della scuola di formazione teologica della diocesi di Pistoia e vicina alla comunità della pieve di Sant’Alessandro a Giogoli: «Mi piace definirlo il “prete di tutti” perché su queste colline approdavano davvero tutti come ad un porto di mare: persone con problemi di denaro, malati di Aids, famiglie rom, detenuti agli arresti domiciliari... Ma venivano da lui anche musicisti, poeti, scrittori e artisti di grande fama come ad esempio Carla Fracci che non mancava mai nel giorno di Natale».
Decine di migliaia le persone che sono passate dalla pieve, eppure don Giorgio non ha mai voluto fondare alcuna comunità, «perché per lui ciascuno era affidato solo a Dio – spiega Natali – anche se ti sosteneva e ti accoglieva con umana santità così come lui stesso ha poi accolto la Croce, cioè vivendo fino in fondo la malattia e sentendo tutto il peso della sofferenza. Imprigionato nel suo corpo immobile ha affrontato l’ultimo tratto con la serenità ma anche con il pianto. E la sua fede granitica ha vinto».