La consegna degli aiuti in un villaggio bombardato nella regione di Kharkiv lungo il confine con la Russia - Gambassi
È ancora il cibo una delle grandi emergenze in Ucraina. «A un anno dall’inizio dell’invasione russa, la crisi umanitaria si fa sempre più grave. E i continui attacchi alle infrastrutture energetiche insieme con i raid nelle zone più calde stanno peggiorando la situazione», spiega Tetiana Stawnychy, presidente di Caritas Ucraina, espressione della Chiesa greco-cattolica. Soprattutto nel sud e nell’est del Paese dove corre la linea del fronte e dove si vive ogni giorno sotto le bombe e i colpi d’artiglieria vicino alla frontiera con la Russia o lungo il confine fra l’Ucraina libera e i territori occupati. «Qui manca tutto. L’economia locale è implosa; trovare un lavoro è impossibile; anche i risparmi sono finiti», aggiunge Tetiana. Così si vive di aiuti che arrivano per lo più dall’estero. I numeri dell’impegno della Caritas lo confermano: oltre la metà delle attività del 2022 ha riguardato la distribuzione di viveri o “pacchi alimentari” che per migliaia di persone rimangono il principale mezzo di sussistenza. Poi c’è l’allarme acqua potabile. «Dove gli agglomerati sono distrutti o gli attacchi all’ordine del giorno, saltano le condutture idriche. Quindi servono cisterne o rifornimenti quotidiani se non si vuole morire di sete».
Al centro Tetiana Stawnychy, presidente di Caritas Ucraina, espressione della Chiesa greco-cattolica - Caritas Ucraina
Nei dodici mesi di guerra la Caritas ha soccorso oltre tre milioni di persone. «Da chi vive a ridosso delle zone di combattimento, ai rifugiati interni che hanno lasciato le loro case e spesso non hanno più un posto dove tornare perché l’abitazione è stata rasa al suolo», afferma Tetiana. Quindici milioni gli sfollati della follia di Putin. E quattro milioni i servizi umanitari offerti dalla struttura pastorale in ogni angolo del Paese. «Siamo il maggiore network sociale in tempo di guerra», rimarca. E un catalizzatore di aiuti da tutto il mondo. Compresa l’Italia. «Con la Caritas Italiana abbiamo realizzato un ponte umanitario e poi ci siamo concentrati sull’accoglienza di bambini», racconta la presidente.
Scelta d’apertura quella della Chiesa greco-cattolica di affidare un anno e mezzo fa la guida dell’organismo che declina nel concreto il Vangelo della carità a un laico. E per di più donna. Non è nata in Ucraina, Tetiana Stawnychy, ma negli Stati Uniti. « Da genitori esuli che hanno lasciato il Paese dopo la seconda guerra mondiale», ricorda. Un’infanzia e un’adolescenza dove le radici di famiglia sono state sempre ben presenti, a cominciare dalla lingua e dal fattore religioso. «L’Ucraina era per me un riferimento senza, però, averci mai messo piede». Finché nel 1991 non è arrivata l’indipendenza e quindi la possibilità di scoprire la terra degli avi. Un incontro che le avrebbe cambiato la vita e convinta che «questa è la mia patria», dice.
I volontari di Caritas Ucraina con i profughi - Caritas Ucraina
Una patria finita nel vortice della guerra. «Eppure la fede mi fa dire che l’amore e la prossimità possono sanare anche le ferite più profonde. Un conflitto genera caos. Allora siamo chiamati a operare contro il caos, a costruire ponti, a rafforzare la fraternità», riflette. «La solidarietà attrae, contagia. Ed è la risposta ai missili, a una cultura di morte, all’odio», aggiunge la presidente. E apre un report elaborato in queste settimane. «Il 40% dei nostri volontari è costituito da quanti hanno ricevuto da noi un sussidio e hanno scelto di mettersi in gioco per gli altri. Più si aiuta, più si trova chi è disposto ad aiutare. Tutta la nazione sa come essere accanto ai fragili». Lei lo testimonia facendo la spola con l’estero e soprattutto abbracciando le realtà Caritas in prima linea. «La nostra rete può contare su 42 centri, 198 rifugi e 448 parrocchie che sono diventate hub umanitari con punti di ospitalità, mense, squadre di volontari. Non si tratta di adattarsi a un clima bellico ma di rispondere ai bisogni che di volta in volta si presentano». Una pausa. «Un anno fa la guerra era nell’aria e ci eravamo preparati. Oggi sappiamo che potrebbe esserci una nuova offensiva ma anche che una delle necessità nazionali è quella della casa. Più di 2,5 milioni di ucraini hanno l’abitazione distrutta o danneggiata». Soprattutto di fronte al controesodo che l’Ucraina sperimenta almeno da dicembre. «La gente vuole tornare a casa. Lontano dal proprio luogo d’origine si sente persa. Vale per chi si è rifugiato in alcune regioni del Paese; vale per chi è fuggito all’estero. Essere uno sfollato è un dramma: c’è da pagare l’affitto, non ci sono amici e parenti, non si trova un impiego. La casa dà sicurezza». Anche se è sotto le bombe oppure è stata colpita o si trova in villaggi dove mancano l’elettricità e il riscaldamento. «Ho incontrato una famiglia che vive in una casa che per metà è stata devastata da un missile. Genitori e figli hanno chiuso due porte vicino al cratere. E abitano nelle altre stanze. Ecco perché siamo in campo con progetti di riparazione delle abitazioni».
La consegna degli aiuti umanitari nella chiesa greco-cattolica di Irpin - Gambassi
Zaporizhzhia e Dnipro sono, invece, le porte d’accoglienza per chi lascia i territori occupati. «Non possono bastare i kit alimentari. Si tratta di riprendere in mano la propria esistenza. E una via è anche quella del “sussidio in contanti” per pagare cibo, abiti, medicine. E anche Kiev è ormai l’approdo dei profughi». L’ovest del Paese resta la terra dei rifugiati interni. «Serve stabilizzare le vite che la guerra ha reso precarie. Così forniamo assistenza legale, logistica, psicologica; siamo a fianco delle donne che hanno i mariti al fronte; diventiamo tramite per trovare un lavoro; e ci concentriamo sui bambini», afferma la presidente. È una donna energica, Tetiana, che sa quanto conti essere “apostoli” di speranza mentre il fuoco nemico piove dal cielo. «Anche se ancora si combatte, possiamo già parlare di ricostruzione. L’Ucraina ha bisogno di una ricostruzione che non riguarda solo gli edifici ma che deve interessare tutta la persona. E soprattutto di una ricostruzione che vada pensata insieme per costruire un futuro condiviso».