Nell’ufficio di monsignor Rino Fisichella i rumori di via della Conciliazione arrivano ovattati. Sotto queste finestre nell’ultimo anno sono passati milioni di pellegrini di tutto il mondo. «Un fiume di fede – sintetizza l’arcivescovo – che ci auguriamo possa irrorare con più entusiasmo la vita delle diocesi e delle comunità locali, per realizzare quella che con papa Francesco potremmo definire la cultura dell’incontro ». Sì, perché l’Anno della fede è ormai al suo atto finale. «Ma il lavoro vero – afferma il presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, cioè il dicastero che ha coordinato i grandi eventi di questo intenso periodo – comincia adesso». Lei ha detto di recente che lo scopo di questo Anno era far ritrovare ai credenti il gusto della fede. Obiettivo raggiunto? Direi che si sono poste le premesse perché questo accada. E proprio i milioni di pellegrini arrivati per visitare la tomba di Pietro lo testimoniano. Ma non basta. L’Anno della fede era una 'provocazione'. Adesso dobbiamo riscoprire la continuità. Ciò di cui abbiamo profondamente bisogno è che l’entusiasmo trasmessoci da papa Francesco possa diventare reale conversione di vita ed esprimersi in forme pastorali rinnovate, in gioia di credere e di vivere da cristiani e in impegno di evangelizzazione. Come dire che finisce l’Anno della fede, ma inizia il lavoro. Esattamente. Il vero grande lavoro comincia adesso ed è un lavoro che ci sarà affidato da papa Francesco tramite l’esortazione Evangelii gaudium, al fine di una rinnovata azione missionaria. La fede riscoperta e rivissuta con entusiasmo diventa adesso prodromo di un impegno concreto di evangelizzazione. Questo è il grande segno che dobbiamo cogliere, mettendo in gioco noi stessi, affinché l’Anno che abbiamo vissuto diventi azione di vita personale e comunitaria prolungata nel tempo. Questo documento si può paragonare a «Novo Millennio Ineunte» del dopo Giubileo? Penso che sia molto più immediato il collegamento con la Evangelii nuntiandi. Perché l’intento di papa Francesco è duplice. Innanzitutto offrire alla Chiesa un elemento comune su cui potersi impegnare in ordine all’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Ma anche incoraggiare le singole Chiese locali ad affrontare le sfide particolari che ogni singola cultura e ogni singolo Paese presentano. C’è un elemento che l’ha particolarmente colpita e che dà la cifra dell’Anno della fede? Un’amica suora mi ha portato dalle Filippine una bottiglia che ho messo nella mia libreria e che contiene il logo dell’Anno della fede. È stata realizzata dai carcerati e a me dà la sensazione di quanto in profondità sia giunto il messaggio di questo anno, che ha toccato tutti gli ambienti ed è giunto persino in Cina. Commovente è poi il significato del manufatto in sé. Gli autori, infatti, chiudendo il logo nella bottiglia, hanno voluto esprimere il segno della privazione della loro libertà, ma anche la speranza che quella nave possa uscire dalla bottiglia e ritornare in mare aperto. Inoltre la diffusione capillare del messaggio è anche il motivo per cui il Papa consegnerà Evangelii gaudium a diverse categorie di persone. L’Anno è iniziato con Benedetto XVI e si chiude con Francesco. Quale contributo hanno dato rispettivamente i due Pontefici? Papa Benedetto ha avuto l’intuizione di indire l’Anno rendendosi conto del momento di difficoltà che la Chiesa stava vivendo. Papa Francesco ci ha mostrato con la sua testimonianza e con il suo insegnamento come la fede deve essere vissuta: cioè uscendo da noi stessi e andando incontro agli altri. Ora occorre realizzare una cultura dell’incontro, cioè far sì che questo dinamismo diventi comportamento abituale. La cultura dell’incontro del resto proviene dalla Rivelazione stessa di Dio. È il Signore che ci viene incontro. E io spero che, seguendo l’esempio del Papa, questa cultura nuova diventi uno dei frutti più maturi dell’Anno della fede. Anche perché l’uomo nostro contemporaneo è un uomo solo che si rinchiude sempre di più in se stesso, in un individualismo che si risolve in asfissia. E allora diventa inevitabile per noi restituirgli il senso della vita, per- ché come credenti noi stessi per primi lo abbiamo ritrovato nell’incontro con Cristo.Come è stato vissuto in Italia l’Anno della fede? Molto intensamente. Con una partecipazione dinamica ed entusiasta non solo ai grandi eventi, ma anche nelle diocesi. E colgo l’occasione per ringraziare la Cei, i vescovi, i tanti sacerdoti e i moltissimi laici che ci hanno aiutato nell’organizzazione.
Alla conclusione dell'Anno della Fede, il presidente del Pontificio Consiglio traccia un primo bilancio dell’evento «Il vero grande lavoro comincia adesso ed è indicato dall’esortazione Evangelii gaudium che il Papa consegna nella Messa di domani».
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