Entusiaste, fiduciose, ma soprattutto libere e non paralizzate dal forte calo delle vocazioni: le giovani religiose guardano al futuro con speranza e alle loro superiori chiedono di non aver paura. Nella terza giornata dei lavori della 20ª Assemblea generale dell’Unione internazionale delle Superiori generali, sono loro - le nuove leve - a prendere la parola in una tavola rotonda che riflette la varietà delle lingue, delle provenienze e dei carismi della vita consacrata per raccontare cosa le ha portate a diventare suore, come vivono l’oggi della vocazione e come vedono il domani. «Non mi preoccupo del futuro perché appartiene a Dio, la cui opera non muore mai: abbiate fiducia in Lui», dice suor Alberthe Kabunda Lupisuku, strappando un sorriso e un applauso all’assemblea a cui si rivolge con la timidezza e la freschezza della sua età. «Il futuro è e resterà la fedeltà alla vocazione e la disponibilità allo Spirito Santo», aggiunge la passionista congolese. «La crisi con la ricerca dei colpevoli può trasformarsi in una tentazione, facendoci diventare depresse o troppo attive così che siamo sempre concentrate su noi stesse, mentre dobbiamo ricordare che Dio è il Signore delle nostre vite», osserva suor Magdalena Winghofer che vuole «camminare con un bagaglio leggero ed essere audace, impegnata, capace di dare testimonianza». «Sogno che saremo più desiderose di correre rischi e di non essere attaccate alle nostre sicurezze», continua la suora tedesca secondo la quale «abbiamo tanto da dare, molto più dei servizi che facciamo, soprattutto ai giovani per i quali la nostra presenza può aiutarli ad affrontare le domande sulla vita e sui valori». «Rappresentiamo un modo diverso di essere, abbiamo qualcosa di cui il mondo ha bisogno: noi possiamo offrire una possibilità di significato», le fa eco suor Juliet Mousseau, anche lei poco più che trentenne, proveniente dagli Stati Uniti, che si dice certa del fatto che domani «sarà necessario essere flessibili, radicate nella tradizione per rispondere alle esigenze della società». «Non dobbiamo avere paura di scuotere le abitudini e la nostra vita: sogno una vita religiosa che si lasci catturare dalle donne e dagli uomini di oggi, che dia la vita, che non si chiuda», scandisce suor Marie Desiree Carvalho, ivoriana, che parla della sua esperienza insieme a suor Teresa Yu, cinese, e a suor Eulogia Quiruchi Negretty, originaria della Bolivia ma missionaria in Brasile. «Dio ci chiama proprio all’inizio e ci invia a testimoniare il suo amore, molto più che a costruire le nostre opere. Questo vale per qualsiasi luogo di questo mondo », sottolinea da parte sua suor Márian Ambrosio, della Congregazione delle Suore della Divina Provvidenza, che nella relazione introduttiva definisce la crisi delle vocazioni «una chance, un’opportunità» che spinge «ad un nuovo punto di vista su identità e significato, su un discepolato radicale». «Abbiamo la missione di svegliare il mondo, come ripete instancabilmente papa Francesco», ricorda la religiosa che si chiede «se stiamo incoraggiando la gioventù a seguire con noi Gesù o stiamo distribuendo biglietti vocazionali con foto e immagini che idealizziamo su noi stesse». «La vita consacrata deve essere profezia », ribadisce l’arcivescovo José Rodríguez Carballo, segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, che nell’omelia della Messa chiede alle religiose di «vivere nella logica del dono» e di «essere creative».
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