La cappella del carcere di Alessandria ridipinta dai detenuti - Foto fra' Beppe Giunti
«Gesù risorge ma porta con sé le ferite della sua croce: anche io porto le ferite del mio passato ma spero di risorgere con le mie cicatrici come il crocifisso che ho dipinto con i miei compagni di cella». Sono le parole di un detenuto della sezione Collaboratori di giustizia della casa di reclusione San Michele di Alessandria. Ce le riferisce frate Beppe Giunti, francescano dei minori conventuali del Convento Madonna della Guardia di Torino, formatore della cooperativa sociale “Coompany&” che si occupa di reinserimento dei reclusi. Fra’ Beppe ogni settimana incontra i collaboratori di giustizia, quei “fratelli briganti”, come san Francesco chiamava chi era caduto nelle maglie del crimine, con cui il frate ha scritto il libro Padre nostro che sei in galera (Edizioni Messaggero di Padova).
Sulle pareti una Via Crucis,
Nei mesi scorsi una decina di ristretti della sezione, grazie alla collaborazione di direzione, educatrice e agenti, ha partecipato ad un corso tenuto da Adamo Demetri, docente di tecniche di decorazione e stucco gestito dalla fondazione Casa di carità arti e mestieri, ente di formazione professionale nelle carceri del Piemonte. La cappellina al piano terra dell’istituto, dopo alcuni lavori edili, era da rinfrescare e diventata l’“aula” del corso concluso nei giorni scorsi e che si è rivelato un itinerario di fede per molti allievi. «Sono i detenuti – alcuni non avevano mai preso un pennello in mano – che hanno proposto al docente di decorare la cappella», racconta il francescano.
«Ogni settimana in cui incontravo i “restauratori” quel luogo finora anonimo via via cambiava aspetto: pareti decorate con cura, una Via Crucis, angeli, santi, una Madonna, un Crocifisso come pala d’altare, una Croce tabernacolo con foglia d’oro, quadri con rappresentazioni di brani della Scrittura. Il professore mi riferiva di come non si è mai sentito a disagio in mezzo a persone con alle spalle reati molti pesanti e che si è creato un bel clima. Ogni lezione per il docente finiva con una preghiera nella cappellina che, a sorpresa, stava diventando un gioiello, nonostante i corsisti non si fossero mai cimentati con l’arte sacra».
E così i “fratelli briganti” iniziano a leggere la Bibbia chiedendo spiegazioni a fra’ Beppe. «C’è chi ha deciso di dipingere un quadro ispirato all’Apocalisse. Un altro recluso ha scelto la stazione della Via Crucis in cui Gesù cade sotto il peso della Croce perché mi ha confessato “anche io ho sperimentato il peso della Croce a causa della mia colpa”». E lezione dopo lezione avviene quasi un miracolo. «Dentro ogni scena rappresentata, in ogni avvenimento della vita di Cristo e in ogni parola c’è la loro vita cambiata, la loro nuova vita», aggiunge Adamo Demetri.
E davvero torna alla mente l’etimologia della parola “educare”, che sta per “tirare fuori”, “far emergere”». La scuola che educa, anche dietro le sbarre. Un bell’esempio di come «anche per chi ha commesso delitti e reati gravi c’è sempre una seconda possibilità e di come – conclude il francescano – sia fondamentale l’applicazione dell’articolo 27 della nostra Costituzione che recita che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato” anche attraverso l’educazione alla bellezza».
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