Edvige Carboni
Una donna apparentemente ordinaria, che visse una vita di lavori manuali e di servizio, in famiglia e verso tanti bisognosi che incontrò, ma che fu eletta in modo misterioso e ricolmata di grazie e doni soprannaturali straordinari. Come altre donne laiche del ‘900, dalla francese Marthe Robin (1902-1981) all’italiana Luisa Picarreta (1865-1947) alla tedesca Therese Neumann (1898-1962) per le quali è aperta la causa di beatificazione e di cui la Chiesa sta riscoprendo il lascito mistico. Questa fu Edvige Carboni, che domattina viene proclamata beata a Pozzomaggiore, paese dove nacque il 2 maggio 1880, oggi in provincia di Sassari e diocesi di Alghero-Bosa.
Edvige, seconda di sei figli, imparò da bambina l’arte della tessitura e del ricamo, abilità con cui poté aiutare la famiglia soprattutto quando la madre morì prematuramente, permettendo a due dei suoi fratelli di proseguire gli studi. Questa responsabilità domestica fu anche ciò che la dissuase dall’abbracciare la vita religiosa fra le le figlie della carità di san Vincenzo de’ Paoli, come desiderava. Con l’aiuto dei confessori, del parroco don Luigi Carta in particolare, capì che le veniva chiesto di seguire un’altra strada, che si rivelò non meno feconda, anzi. A 26 anni entrò nel terz’ordine francescano. Ebbe fin da piccola visioni che la accompagnarono per tutta la vita, insieme a vessazioni diaboliche, estasi e numerosi fenomeni mistici, tra cui le stimmate, all’età di 29 anni. Stimmate che furono ispezionate da medici i quali esclusero che si trattasse di una finzione o di un caso di isteria, e che attirarono in paese devoti e curiosi, nonostante Edvige cercasse di sottrarsi a quell’attenzione. Tutto ciò generò nei suoi confronti da una parte l’ammirazione di persone di alta caratura spirituale che la conobbero – fra i tanti il padre vincenziano Giovanni Battista Manzella, il gesuita padre Felice Cappello, di entrambi è aperta la causa di beatificazione, e il passionista padre Ignazio Parmeggiani, suo ultimo confessore – ma anche sospetti che fosse un’ingannatrice. Nel 1925 il vescovo Alghero Francesco D’Errico ordinò un’indagine canonica da cui Edvige uscì “assolta”. Nel 1929, all’età di 49 anni, insieme al padre ormai anziano, lasciò la Sardegna per trasferirsi nel Lazio dove la sorella Paolina era insegnante, stabilendosi poi a Roma nel 1938.
Nella sua spiritualità ebbero un ruolo particolare i Novissimi. L’amica Flora Argenti testimoniò a riguardo: «Pregava assiduamente per le anime del purgatorio. Continuamente queste anime purganti, per concessione divina, comparivano a lei perché raddoppiasse le preghiere per la loro liberazione e le lasciavano impronte e scottature del loro fuoco. E spesso io la vidi soffrire per queste piaghe. Allora si moltiplicava per pregare e faceva celebrare sante Messe… dopo la liberazione queste anime si presentavano tutte raggianti di beatitudine eterna a lei per ringraziarla. Ella, nelle estasi, vedeva anime che, appena morte cadevano nell’inferno, ed erano molte, e anime del fuoco del purgatorio e anime che volavano in Cielo. Nel giorno dei morti vedeva stuoli e stuoli di anime che la ringraziavano e le dicevano di ringraziare le persone che avevano pregato per loro per volare in paradiso».
Edvige Carboni morì il 17 febbraio del 1952. Nel 2015 il suo corpo è stato traslato da Albano Laziale nel Santuario di Santa Maria Goretti a Nettuno. Le sue spoglie hanno fatto ritorno in Sardegna il 25 maggio e ora resteranno nella chiesa parrocchiale di Pozzomaggiore, dove Edvige ricevette il Battesimo.
La solenne celebrazione di domani sarà presieduta dal cardinale Angelo Becciu, anche lui sardo e prefetto della Congregazione delle cause dei santi. «Una circostanza speciale ed eccezionale, che viviamo con tutto l’entusiasmo che un avvenimento del genere comporta» ha affermato il vicario generale di Alghero-Bosa, monsignor Giuseppe Curcu, nel suo intervento alla conferenza stampa che si è tenuta ad Alghero venerdì. «Edvige era una donna semplice, una donna delle nostre comunità, come tante che si dedicano a servire gli altri. La nostra beata è testimone di una fede forte e Dio l’ha privilegiata con segni unici, nella condivisione della sua passione».