Il biblista Borghi chiama a un impegno maggiore le istituzioni religiose come quelle non religiose, perché la Bibbia sia messa nella condizione di "fare cultura" oggi - foto Siciliani
Che cosa significa “cultura”? Tutto quello che “coltiva” l’essere umano, ossia che lo fa crescere in sensibilità interiore e sociale, in curiosità per quanto sta dentro e al di fuori di sé. Dove succede che ciascuno “si faccia una cultura”? In famiglia, nella scuola, all’università, nei luoghi di lavoro e nei luoghi di svago extra lavorativo. Si tratta di contesti in cui le relazioni interpersonali sono di volta in volta fondamentali. E ciascuno vede la sua identità personale influenzata dai diversi atteggiamenti (adesione, indifferenza, rifiuto) che egli assume in ordine a nozioni, emozioni, contenuti con i quali ha modo di confrontarsi.
Le aree europee che vedono l’italiano come lingua parlata dalla maggioranza della popolazione hanno avuto il cristianesimo come codice religioso maggioritario di riferimento. E le Scritture raccolte nella Bibbia ebraica/Primo o Antico Testamento e Nuovo Testamento sono alla base di questa religione. Certo, ma…
Perché dire “ma”? Perché a giudicare dall’endemica ignoranza riscontrabile rispetto ad una conoscenza minimamente riflessa dei testi biblici, parrebbe che la consapevolezza sulla loro rilevanza sostanziale sia di una minoranza più o meno sparuta della popolazione. Dopo millenni di proclamazione dei testi biblici il minimo che si possa fare è, nel quadro delle radici dell’umanità comune tra Europa, Mediterraneo e Medio Oriente, favorire una lettura intelligente ed appassionata delle Scritture primo e neo-testamentarie. Come? Invitando a rispondere a due domande fondamentali: che cosa dice il testo biblico che sto leggendo in sé stesso? Che cosa dice alla mia vita di oggi?
Sono interrogativi tra loro inscindibili, da soddisfare in modo interattivo. Come? Dotandosi di alcuni strumenti di comprensione dei testi a livello storico, linguistico, geografico, sociale e cercando di capire che cosa ci stia davvero a cuore per essere donne e uomini ricchi di curiosità verso un umanesimo del cuore e della mente, così da coltivare la propria interiorità in modo responsabile ed intenso.
Nelle prossime settimane altre colleghe e colleghi affronteranno – nelle pagine di Avvenire – i rapporti tra la Bibbia e tanti ambiti della vita umana intellettuale e sociale. E allora cominciamo a chiederci perché le Scritture bibliche oggi non fanno cultura come sarebbe indispensabile in particolare nei momenti socio-culturali e socio-politici difficili e per tanti versi carichi di egoismi come quelli che si stanno vivendo.
Leggere la Bibbia è una questione importante soltanto per chi è credente religioso ebreo o cristiano o, peggio ancora, per chi fa parte delle gerarchie religiose? Per leggere realmente i testi biblici occorre essere di fede ebraica o cristiana? Se si risponde “sì” a questi due interrogativi, non si arriverà mai a cogliere le domande e le risposte sul senso della vita umana che da Genesi ad Apocalisse variamente si pongono e chiamano in causa valori e opzioni totalmente e radicalmente esistenziali.
La competenza biblica della maggioranza degli insegnanti di ogni ordine e grado è assai limitata per non dire inesistente? Sì, e tale situazione rende impossibile far cogliere ad allieve e allievi testi e valori biblici e quanto di umanizzante ne emerge, al di fuori di qualsiasi tentazione indottrinante, secondo la diversa complessità proponibile dalla scuola dell’infanzia alla fine delle scuole superiori.
La Bibbia è molto presente nei curricula accademici delle istituzioni universitarie non religiose? Certamente no, e non solo perché in Italia non vi sono Facoltà teologiche non confessionali. Troppo spesso, quando un docente di uno dei pochi insegnamenti in proposito nelle università non religiose va in pensione, detto insegnamento viene cancellato. E nelle stesse facoltà religiose si fa sempre cultura biblica nel senso esistenziale del termine? Troppo spesso si fa erudizione oppure divulgazione di livello tutt’altro che eccelso…
I mass media trattano la Bibbia in modo adeguato rispetto alla rilevanza culturale sia storica che attuale delle stesse Scritture? No, se si considera, per esempio, quanto sono presenti nei programmi di cultura religiosa proposti. Essi, anche quando sono in grado di occuparsene in modo culturalmente interessante, spessissimo sono trasmessi a orari notturni o antelucani. E chi si occupa molto bene di divulgazione culturale anche, per esempio, nelle prime serate televisive, sa e vuole dare spazio a contenuti importanti come le stesse Scritture bibliche? No, temo, troppo spesso per ignoranza o per pregiudizi antireligiosi d’altri tempi.
Sono osservazioni sommarie? Può darsi ed è giusto non generalizzare mai. Tuttavia perché la Bibbia possa essere in condizione di “fare cultura” oggi, ossia di proporre stimoli seri ed appassionanti alla crescita interiore e sociale contemporanea ci vuol ben altro rispetto a quello che istituzioni non religiose e religiose hanno messo in campo sinora, tanto a livello formativo quanto informativo. E le risorse sia umane sia finanziarie ci sono, al di là di quanto si pensi e si dica. Bisogna credere nella formatività umana reale di un rapporto, lo ripeto, serio e appassionato con le Scritture bibliche.
* Biblista, presidente dell’Associazione Biblica della Svizzera Italiana