Il padre Aldunate con la presidente Michelle Bachelet alla cerimonia per la consegna del Premio per i diritti umani
«Dato che ho scelto di concentrarmi sulla vita eterna, l’idea della morte non mi spaventa, anzi. Sono nelle mani di Dio, quando Lui vorrà chiamarmi…». A cento anni compiuti oggi, padre José Aldunate non ha mutato opinione. Ora come a 17 anni, quando è entrato nella Compagnia di Gesù, il sacerdote è convinto che solo la vita eterna conti. Quest’ultima, però, precisa «comincia quaggiù. Per questo, do’ importanza a quanto accade sulla terra. La politica mi ha sempre appassionato, l’evoluzione del Cile e del mondo. Però, tutto ciò, lo vedo alla luce dell’eternità, sub lumine aeternitatis. In questa luce, i fatti si comprendono meglio». Un insegnamento che padre José ha appreso da un altro gesuita, San Alberto Hurtado, di cui è stato stretto collaboratore tra il 1950 e il 1952. All’epoca, padre Hurtado si occupava della Acción sindical chilena. «Dato che avevo fatto la tesi sul rapporto tra economia e morale, il provinciale mi ha chiesto di affiancarlo», racconta padre Aldunate nella propria autobiografia. E aggiunge: «Padre Hurtado era un uomo dalla straordinaria carità. Eppure aveva compreso che quest’ultima non era cruciale. Il centro era la giustizia. La società doveva cercare la giustizia, che va oltre la carità». Tale consapevolezza ha portato il “teologo Aldunate” – maestro dei novizi, provinciale, docente universitario – a impegnarsi per dieci anni, tra il 1973 e il 1983, come sacerdote operaio. «Non ho mai, però, abbandonato l’insegnamento. Ero un operaio che dava lezioni di Teologia morale. Non lo facevo più solo in teoria ma nella realtà quotidiana». Nel lavoro manuale come falegname, padre José dice di aver scoperto «la prospettiva operaia della vita. Che è diversa di quella di sacerdote chiuso in parrocchia. Tuttora mi definisco un “gesuita operaio”».
La dittatura e la difesa della dignità umana
Padre Aldunate ha iniziato l’impiego in falegnameria il 10 settembre 1973. Il giorno successivo c’è stato il golpe del generale Augusto Pinochet contro il presidente Salvador Allende. Sono la realtà della dittatura e della repressione a spingere padre Aldunate in prima linea per la difesa dei diritti umani, insieme a molti altri esponenti della Chiesa cilena, tra cui l’arcivescovo di Santiago, il cardinale Raúl Silva Henriquez. Padre José ha aiutato i perseguitati a scavalcare la recinzione della nunziatura e delle ambasciate straniere per sfuggire agli aguzzini. E, insieme ad altri sacerdoti, ha dato vita a una rivista clandestina per denunciare i crimini del regime. Ma soprattutto, dal 1983, già anziano, padre José è diventato il rappresentante del Movimiento contra la tortura Sebastián Acevedo. Impegno per cui, l’anno scorso, ha ricevuto il prestigioso Premio per i diritti umani. «Nel settembre ’83 abbiamo fatto la prima manifestazione. Siamo andati di fronte a un centro clandestino di tortura, in avenida Borgoño, e vi abbiamo appeso sopra un cartello: “Qui si tortura”». Il compito di padre José non è stato facile. Il sacerdote ne ha assunto la direzione perché, dato il ministero e l’età, aveva meno probabilità di essere arrestato. «Mi è toccato farlo e non è stato semplice. Dovevo controllare che il movimento si mantenesse fedele alla linea di lotta pacifica. Noi praticavamo la non violenza attiva, in linea con i valori evangelici». Con il ritorno della democrazia, padre Aldunate ha continuato ad abbinare allo studio, un forte impegno per i diritti dei poveri. Anche ora, centenario e ormai cieco, il “gesuita operaio” non smette di pensare a quella vita eterna che comincia quaggiù, con la giustizia del Regno. «Sono stato felice – dice – perché ho cercato di seguire il cammino di Dio. L’unico in grado di dare pace, sicurezza, felicità».