Da giornalista in prima linea a rifugiato in Italia. Per un’unica ragione: essere cristiano in un Paese musulmano e raccontare le vessazioni che i “fratelli nella fede” subivano. «Era la mia battaglia. Volevo dare voce alle sofferenze della minoranza cristiana perseguitata», ha raccontato Qaiser Felix, cronista pachistano che è stato costretto a fuggire nella Penisola per salvare la famiglia. La sua è stata una delle tre testimonianze presentate ieri durante la Veglia nella Basilica di San Pietro. «La mia fede era al centro del mio lavoro – ha spiegato davanti al Papa accompagnato dalla moglie e dai due figli –. Ho viaggiato in tutto il Pakistan per far conoscere la difficile vita cui sono costretti i cristiani, discriminati dalla legge contro la blasfemia e spesso vittime di violenze brutali fino all’assassinio». Finché anche lui è finito nel mirino di gruppi terroristici che «consideravano le mie parole un attacco allo Stato e all’islam». Quindi l’addio all’Asia e l’arrivo in Italia dove per due anni ha svolto lavori saltuari. «Ma con il centro Astalli andavo nelle scuole a raccontare la mia storia di rifugiato». Adesso la famiglia vive qui e Felix lavora con la moglie in uno studentato di Venezia. «Nei momenti bui la fede è stata l’ancora di salvezza», ha confidato. E ha lanciato un appello: «Non lasciamo soli i cristiani perseguitati. Hanno bisogno delle nostre preghiere e del nostro aiuto».