Il patriarca libanese Béchara Boudros Rai (Ansa/Osservatore Romano)
Il cardinale Béchara Boutros Raï, 79 anni, è patriarca di Antiochia dei Maroniti. Ha ottenuto la licenza in teologia alla Pontificia Università Lateranense di Roma ed è stato ordinato prete nel 1967. Nel 2011 è stato eletto 77° successore di san Marone durante il Sinodo straordinario e Benedetto XVI gli ha concesso l’ecclesiastica communio. È stato creato cardinale da Ratzinger nel 2012.
«Non possiamo più sostenere oltre un milione e mezzo di profughi siriani in un Paese che è più piccolo della Sardegna. È necessario che l’Unione Europea non vincoli il loro rientro in patria alla soluzione politica della crisi in Siria». Così il patriarca maronita Béchara Boutros Raï ricevendo nella sua residenza a Beirut giornalisti e operatori della comunicazione al termine di una visita in Libano organizzata grazie all’Opera Romana Pellegrinaggi. Il cardinale libanese ha illustrato i pericoli che mettono a repentaglio il sistema democratico e l’equilibro tra cristiani e musulmani sancito dalla Costituzione che fa del Libano un unicum nell’area mediorentale.
Eminenza, come è stata recepita nel suo Paese la visita del Papa ad Abu Dhabi e la firma del documento con l’imam Al Teyyeb sulla fratellanza?
Noi siano abituati a una convivenza, ovunque ci sono religioni diverse che vivono nello stesso territorio, ma quello che caratterizza il Libano è una vita in comune tra cristiani e musulmani organizzata dalla Costituzione e dal patto nazionale. Dunque è normalissimo per noi libanesi che il Papa sia andato negli Emirati Arabi. Anzi dicono: san Paolo VI, san Giovanni Paolo II, papa Benedetto hanno visitato il Libano perché papa Francesco non viene? Io rispondo sempre che papa Francesco ha un’agenda differente: ama andare nei luoghi che trova un po’ scottanti. Quello che è stato fatto ad Abu Dabhi ha dato una spinta avanti sia ai musulmani sia ai cristiani e noi vogliamo che il Papa continui a venire in questa regione perché questo aiuta. Perché c’è una politica che vuole mostrare che le religioni, le culture diverse non possono convivere e quindi impongono guerre. Così pagano, mandano armi, sostengono terroristi e distruggono Paesi e questo crea fondamentalismi e integrismi e noi come cristiani ne paghiamo il prezzo.
Il presidente libanese Aoun ha detto una volta che il rischio per i cristiani in Medioriente non sono solo le guerre ma anche una certa sete di denaro e il fatto di dover chiedere sempre aiuti e protezione dall’esterno come una minoranza assediata. Lei è d’accordo?
Il Libano ha accolto più di un milione e mezzo di profughi siriani. Che cosa comporta questo anche per l’equilibrio del Paese?
Il Paese esce da una guerra civile che è durata 15 anni dal 1975 al 1990. Poi dal 1990 al 2005 la presenza siriana, oltre all’occupazione dei territori da parte di Israele, ancora adesso c’è una parte occupata. In trent’anni sotto pressione si è impoverito molto. E non riusciamo a salire perché nel 2011 ancora le guerre nella regione hanno interrotto le vie di uscita di merci del Libano verso i paesi arabi. Adesso il grande problema che noi abbiamo sono i rifugiati siriani. Non possiamo chiudere le porte. Cinquecentomila palestinesi si trovano già in Libano dal 1948. E aspettano la soluzione politica da più di settant’anni. Una soluzione che non verrà mai. Si parlava della soluzione di due Stati ma è impossibile, perché quella terra che era destinata ad essere lo Stato palestinese è tutta seminata di colonie israeliane. Ora i siriani. La situazione internazionale politica li convince a rimanere e non tornare nel loro Paese. Noi abbiamo una densità di rifugiati pari a 200 profughi per chilometro quadrato. È come se l’Europa fosse chiamata a accogliere 150 milioni di rifugiati che salgono dalla Libia. Ma come può vivere e aiutare il Libano che ha il 30 per cento della popolazione sotto la soglia della povertà e il 40 per cento di disoccupati? Gli alunni siriani nelle scuole statali sono 400mila, mentre quelli libanesi sono 300mila. Lo Stato deve fornire loro libri e insegnanti. Il prolungarsi della presenza dei profughi siriani in Libano ha ripercussioni gravi a livello economico, sociale, demografico, politico e di sicurezza. Quindi il Libano sta pagando fortemente questa presenza. Ormai non possiamo più.
Secondo lei l’Unione Europea dovrebbe assumersi maggiore responsabilità riguardo all’emergenza dei rifugiati in Libano?
Qual è il rischio per il sistema governativo?