Lo ricordano tutti. Anche in Italia. Non solo per le 88 partite giocate con la nazionale e per la storica Italia-Brasile del 1982 in cui giocò come centrocampista, ma per i suoi due anni al Pescara e al Torino. Leovegildo Lins da Gama Júnior, noto semplicemente come Junior, è stato inserito dalla Fifa nella lista dei migliori giocatori di calcio viventi. Oggi ha 59 anni, vive a Rio de Janeiro, e da oltre undici fa il telecronista sportivo della prestigiosa Rede Globo. «Non mi sono mai allontanato definitivamente dal calcio – racconta –. In Brasile si dice che il calcio sia una religione, ma credo invece che sia il calcio ad aver bisogno della religione».
Cosa intende dire?Purtroppo non è solo la politica che ha bisogno di maggiore etica e morale. Anche il calcio ha i suoi peccati. Lo vedete anche voi in Italia: calcio-scommesse, scandali di diverso tipo che investono giocatori importanti. Lo dico non perché sono cattolico, ma se lo sport è un elemento importante per la crescita dei giovani, il calcio, che è una febbre nazionale, deve essere un modello di ispirazione. Se anche nello sport dobbiamo fare i conti con la corruzione e altri scandali, non ci saranno più modelli di riferimento per i nostri ragazzi.
Secondo lei, il Papa che incontra i rappresentanti più famosi dello sport brasiliano in questo momento cosa vuole comunicare ai giovani?Direi proprio che vuole riconoscere anche l’importanza dello sport, che è un elemento fondamentale nello sviluppo dei ragazzi. Il Papa, lo abbiamo visto, non ha bisogno di Neymar o di Ronaldo per aumentare la sua popolarità. La sua presenza è straordinariamente apprezzata, la sua semplicità ha già raggiunto il cuore di milioni di brasiliani. Francesco è a Rio per rivolgersi ai giovani e non dimentichiamo che i nostri atleti sono dei ragazzi, li ha invitati sull’altare perché siano di ispirazione a tutta la gioventù brasiliana. E poi, nel nostro, Paese, lo sport, soprattutto il calcio, è un simbolo importante di riscatto sociale.
Atleti del calibro di Neymar o di Ronaldo vengono dalle favelas…Attraverso lo sport alcuni giovani hanno superato la povertà, la discriminazione razziale, la differenza tra classi sociali. Il nostro calcio è ricco di storie commoventi e di grande ispirazione, come quella del grande Pelé o di Garrincha. Davanti al pallone come davanti al Creatore siamo tutti uguali e abbiamo tutti le stesse opportunità. Il Papa, che è argentino e tifoso di calcio, questo lo sa bene.
Ma in Brasile anche lo sport è diventato soprattutto un business, come il carnevale. Non sono troppi i soldi che guadagnano i calciatori considerati gli stipendi del Paese?Il Papa prega per un modello economico più umano, ma bisogna ammettere che ancora il calcio rispecchia una perversità sociale: una grande differenza tra i pochi che guadagnano molto e i molti che guadagnano poco. La realtà è che ci sono gli sponsor che la fanno da padrone ed è ormai impossibile sfuggire alle logiche di mercato.