Ha seguito con attenzione l’omelia da Gerusalemme, e padre Pierbattista Pizzaballa si è subito sentito provocato dalle parole di papa Francesco. La sua profonda riflessione sulla figura di san Giuseppe come custode della Chiesa hanno interpellato in qualche modo anche il francescano bergamasco che da nove anni è custode dei luoghi santificati dal passaggio di Cristo.
Nell’omelia il Papa ha insistito molto sulla figura di san Giuseppe come custode di sua moglie Maria e di suo figlio Gesù. Per lei che significato ha quello di custodire i luoghi della redenzione?È necessario innanzitutto rimanere nella Verità, amare i propri, accudire il gregge, e bisogna amare la Chiesa nella verità che è Gesù. Fare il custode significa per prima cosa essere fedele e fermo su questo punto, perché se il custode si allontana dal gregge oppure il gregge si allontana dal custode e va per una strada sbagliata è compito del custode richiamare il gregge. Non è soltanto un volersi bene così generico, ma è anche – e specialmente – un rimanere fermi sul percorso che il gregge deve compiere. Ma fissare lo sguardo su Cristo è il compito di tutta la Chiesa.
Custodire, ha detto il Papa, chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Ma come è possibile vivere questa tenerezza di cui parla Francesco dentro il conflitto che la Terra Santa vive da molti anni?Il custode del gregge non è solo colui che sta dietro alle pecore, le deve anche amare, accudire, curare. Perché custodire non vuol dire solo conservare. Per avere la tenerezza in questa terra di conflitto dobbiamo custodire innanzitutto la testimonianza che ci ha dato Gesù, una testimonianza di perdono, di libertà nelle relazioni. E poi dobbiamo custodire anche la Parola che abbiamo ricevuto qui, quello stile che è stato proprio del Signore. Come ha detto il Papa, non solo di tenerezza, ma anche di carità e amore. Per me significa questo, abbiamo bisogno di qualcuno che sappia amare oltre ogni forma di divisione.
In un passaggio Francesco ha detto che per poter "custodire" gli altri dobbiamo custodire anche noi stessi...Mi ricorda quello che si dice nella Sacra Scrittura: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Per amare e avere cura dell’altro bisogna avere cura di sé. Le cose vanno insieme, è un rapporto inscindibile che però deve essere illuminato dalla relazione fondamentale, quella con Dio. Senza Dio non andiamo da nessuna parte.
Alla fine – è una frase che ha ripetuto spesso in queste prime occasioni – il Papa ha chiesto ai fedeli di pregare con lui, come se anche lui volesse essere custodito in qualche modo. C’è un aspetto di reciprocità tra il custode e chi viene custodito?Naturalmente, il Custode per eccellenza è Dio, noi siamo custodi a sua immagine e dobbiamo custodirci l’un l’altro. Il successore di Pietro, il Papa è il custode del gregge che è la Chiesa di Dio, ma anche noi come gregge dobbiamo avere a cuore il nostro pastore e amarlo.
E la figura di san Giuseppe, a cui papa Francesco ha dedicato la sua omelia nel giorno della festa, come la provoca nel suo compito quotidiano affidatogli dalla Chiesa?È uno dei santi meno conosciuti eppure più importanti. Sappiamo poco o nulla, non abbiamo nessuna parola detta da lui, ma soltanto alcuni, pochi gesti. E credo sia espressione dello stile di vita di tante persone nella Chiesa, che nel silenzio, custodendo la parola che hanno ricevuto e non comprendendola fino in fondo, come san Giuseppe l’hanno tradotta in azioni concrete per il bene di molti. Senza fare rumore, tanti santi hanno cambiato il volto della Chiesa. Io amo molto san Giuseppe per il suo silenzio, per il ruolo che ha avuto nella vita familiare. Il giorno di san Giuseppe è la festa del padre, che è in realtà un modo nuovo di esprimere la paternità, di una presenza importante e non invasiva, una figura che accompagna, che sa guidare e costruire.
A questo proposito, papa Bergoglio ha sottolineato che Giuseppe viveva nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio. È questo il segreto che rende possibile a un padre di essere anche custode?Questo è un passo molto bello che dice una grande verità: un padre non deve custodire un progetto suo, ma cercare di comprendere il progetto del figlio e farlo crescere, cercando anche di scomparire un po’. E così il padre, anche nella Chiesa, è colui che deve vedere il progetto di Dio che cresce nel gregge. E aiutarlo a crescere sempre di più.