L'arrivo dei pellegrini all'Arena di Verona - Ansa
È acqua pulita nel Veneto avvelenato dalle Pfas. È lavoro retribuito in una Taranto che non debba più veder morire i propri figli di cancro. È una casa sicura dalle alluvioni che travolgono la Liguria, l’Emilia Romagna, il banco del mercato a Ballarò senza paura delle ritorsioni mafiose. È poter soccorrere chi chiede aiuto in mare e arriva sulle coste siciliane e calabresi senza speranza e senza futuro. La chiamano pace anche i governi, ne parlano astrattamente mentre l’economia mondiale prospera grazie ai profitti degli armamenti, ma nelle periferie delle nostre città, dove si sperimentano sulla propria pelle povertà, diseguaglianza, i danni insostenibili del dissesto idrogeologico e del cambiamento climatico, migliaia di persone la pace provano a farla. È questo il popolo degli “artigiani” che è arrivato a Verona da ogni parte, non solo d’Italia: giovani africani e brasiliani, esuli afghane e bielorusse, rifugiati, operai, attivisti, pensionati. Sono impegnati sulla frontiera del “restare umani”: Ong, associazioni ambientaliste, movimenti laici e cattolici come Sant’Egidio, le Acli, i Focolari, Libera, il Gruppo Abele, circoli culturali, comunità e centri antiviolenza, Unione inquilini. Sono insieme con il Papa ad “Arena di pace”, il grande incontro dei movimenti popolari che si tiene stamani nell’anfiteatro di Verona e che vede la partecipazione di Francesco.
Vogliono consegnargli il loro sforzo quotidiano immane, certi che sia l’unico a capire e parlare la lingua della pace. E determinati a dire al mondo che non è solo, non può più esserlo. Lo ripetono Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e Stefano Paronetto, referente per il Cammino sinodale di Pax Christi, delegati del tavolo del Disarmo, forse quello più decisivo tra i cinque che per mesi hanno lavorato in vista dell’evento: “migrazioni”, “ecologia integrale e stili di vita”, “lavoro, economia e finanza”, “diritti e democrazia” e appunto “disarmo”. «È tempo di fermarsi, la guerra non è un destino ineluttabile. Oggi questa Arena apre uno spazio di pace, e il nostro obiettivo è che diventi anche uno spazio di azione politica».
Dalle parole ai fatti. E se ci fosse bisogno d’una ricetta, eccola messa nero su bianco nel “Manifesto per la pace di Verona” che toccherà a padre Alex Zanotelli leggere davanti ai dodicimila dell’Arena e a Francesco: un distillato delle richieste emerse proprio da quei tavoli che per mesi hanno riunito i movimenti popolari e la società civile (oltre duecento le associazioni coinvolte) con l’obiettivo comune di costruire una strada alternativa a quella del conflitto e della violenza. «È quella che ci sta portando a distruggerci – spiega il comboniano trentino, classe 1938, una vita spesa accanto agli ultimi –. Oggi siamo arrivati al punto che il 10% della popolazione consuma da sola il 90% delle risorse del Pianeta. E quel 10% per continuare a mantenere il proprio stile di vita si arma fino ai denti. Siamo in guerra tra noi, in guerra con i poveri e in guerra con l’ambiente».
Nel documento, si diceva, si parla di cose molto concrete: la necessità di un’educazione alla cultura della pace che parta nelle scuole, che contamini bambini e ragazzi, che proponga loro incontri con operatori, testimonial e mediatori; un cessate il fuoco generalizzato, con la riduzione immediata delle spese militari e la riconversione dell’industria in economia civile e progetti sociali; la tutela dei diritti umani dei migranti, con lo stop ai respingimenti in mare e alla politica europea di esternalizzazione delle frontiere; l’uscita dalle fonti fossili a partire dal 2025 e un deciso cambio di rotta sulle politiche ambientali; lavoro dignitoso, sicuro, retribuito in maniera adeguata.
«Sono d’altronde i bisogni concreti quelli che ci hanno portato a metterci in rete come associazioni e unirci in questa battaglia per la pace – spiega Giuseppe De Marzo della Rete dei Numeri Pari –. Non ideologie, non tradizioni di partito, ma salute, lavoro, casa, istruzione. Non vogliamo più morire di tumore, non vogliamo più essere sfruttati sul lavoro, non vogliamo più che la mafia rubi le nostre terre». Il semplice desiderio di poter “vivere in pace” nel proprio quartiere, nella propria città, come scintilla di un nuovo pacifismo capace a Verona di riunire per la prima volta senza divisioni anche cattolici e laici: «Se io sto bene, tu stai bene. Se io vivo in pace è perché lo sei anche tu. Io e te siamo in relazione, non individui ma umanità», lo condensa in una frase Vanessa Nakate, la giovanissima attivista ugandese per il clima che ha guidato i lavori del tavolo sull’ecologia. La parola per questa nuova pace in lingua africana esiste già, è ubuntu. Papa Francesco ne è il volto, è la voce che da anni la ripete inascoltato. Da adesso in poi va tradotta nella lingua di tutti.
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