Quando Benedetto XVI ne annunciò la convocazione – era il 9 settembre del 2009 – l’espressione
primavera araba non esisteva. E il Sinodo per il Medio Oriente, celebrato nell’ottobre dell’anno successivo, era già chiuso da oltre tre settimane quando il venditore ambulante, Mohamed Bouazizi, il 7 dicembre 2010 si diede fuoco a Sidi Bouzid, in Tunisia, per protestare contro il sequestro da parte della polizia della sua merce, innescando quel grande sommovimento che si sarebbe poi esteso a macchia d’olio dal Nordafrica al Medio Oriente, fino alla Siria.Per tutto questo, appare due volte profetica la decisione del Pontefice di scegliere il Libano per firmare e consegnare a quelle Chiese locali l’Esortazione apostolica che, di quell’Assemblea speciale del Sinodo, è il frutto. Profetica, in primo luogo, rispetto a a quello che il Sinodo è stato e ha detto, e per quello che il documento, di conseguenza, riaffermerà. Ovvero l’esigenza di costruire con l’ostinazione di un dialogo paziente le basi di una nuova convivenza in una terra che, dopo decenni di conflitti e tensioni, ha bisogno di una pace finalmente vera.Un obiettivo che l’Assemblea seppe lucidamente delineare, cogliendo tutti quei segnali ancora “invisibili”, per così dire, al resto del mondo, e che in larghissima parte sfuggirono alle maglie di un’informazione troppo concentrata sulla questione delle nuove persecuzioni dei cristiani per raccogliere l’“oltre” che l’Assemblea andava raccontando. Profetica, e coraggiosa, è poi la scelta del Libano. A ribadire il ruolo che questo Paese, per quanto tormentato e diviso, ancora può e deve ricoprire in accordo alla sua vocazione di «terra della convivenza».Vocazione intatta anche dopo quasi quarant’anni dallo scoppio di una guerra civile, che rimise in discussione equilibri secolari, e nonostante la presenza di quelle che nel 2006 Benedetto XVI, all’indomani dell’assassinio del ministro dell’industria libanese Pierre Gemayel, definì «le forze oscure che cercano di distruggere il Paese»; di fronte alle quali l’invito del Papa a tutti i libanesi fu a «non lasciarsi vincere dall’odio, bensì a rinsaldare l’unità nazionale, la giustizia e la riconciliazione, e a lavorare insieme per costruire un futuro di pace». In quell’occasione, l’allora vescovo di Byblos, Béchara Boutros Raï oggi patriarca maronita «la comunità cristiana, ma anche quella musulmana, si trovano unite nell’impegno comune di non dividere il Paese», e l’accenno del Pontefice alle
forze oscure era «sicuramente» riferito «a tutti gli agenti della Siria e dell’Iran».Con la Siria, lì al confine, oggi a ferro e fuoco, e con le fiamme che già lambiscono il Libano, nessun segno come il recarsi proprio in quella terra, per consegnare al Medio Oriente l’Esortazione apostolica, potrebbe essere più significativo.