Padre Antonio Spadaro
Papa Francesco ha ribadito «più volte», anche nel corso dell’udienza 'previa' avuta insieme con il preposito generale padre Arturo Sosa, l’«importanza specifica» della Civiltà Cattolica definita «rivista unica nel suo genere per il servizio alla Sede apostolica». Lo spiega ad Avvenire padre Antonio Spadaro dal 2011 direttore del quindicinale.
Confermando gli statuti che risalgono alla fondazione il Papa ribadisce che a scrivere su Civiltà Cattolica saranno quindi sempre e solo gesuiti.
Esattamente. Non solo. Ribadisce che continui ad esserci una base stabile di 'scrittori' che viva insieme formando una comunità che poi fa la rivista.
Ora la rivista uscirà anche in altre quattro lingue: inglese, francese, spagnolo e coreano. Come saranno queste nuove edizioni?
Avranno cadenza mensile ospitando un’ampia scelta di articoli presenti nell’edizione italiana. Scelta che sarà differenziata per ciascuna di esse.
Il Papa vi invita a ospitare contributi di altri gesuiti di varie parti del mondo. Questo significa che darete più spazio alla politica internazionale e meno a quella italiana?
No. Continueremo ad avere un occhio molto attento sulle vicende italiane, anche politiche. Ma oggi una rivista culturale difficilmente può limitarsi a un orizzonte nazionale, persino per capire gli eventi interni. Quindi il nostro sguardo sulle vicende internazionali si intensificherà. Con attenzione particolare ai temi di geopolitica centrali della nostra epoca, tra i quali spicca la questione delle migrazioni.
In passato il legame speciale con il Papa si manifestava anche con le udienze periodiche con il direttore. Poi con Giovanni XXIII il referente diretto divenne la Segreteria di Stato. Ora con papa Francesco si è tornati alla vecchia prassi?
Nel suo discorso il Papa ribadisce che la rivista ha un legame diretto con lui e quindi sostanzialmente ha confermato la tradizione ininterrotta. Il fatto che il Pontefice possa mettersi a rivedere personalmente tutti i testi appartiene tuttavia ad un’altra epoca. Però lui è particolarmente interessato: si informa, vede, legge. Nell’udienza ha detto che ha la rivista nella sua scrivania e che essa lo interpreta bene. In verità anche i pontefici precedenti interloquivano direttamente con il direttore della rivista, in varie forme.
Cosa è cambiato con l’arrivo di un Papa gesuita?
Per noi è una responsabilità in più. La comune formazione e la comune spiritualità da una parte ci aiuta a capire, dall’altra ci impegna ancora di più ad accompagnare il pontificato. Cosa che da sempre costituisce il dna della nostra rivista.
Anche con cambiamenti di rotta.
Proprio così. Ricordo che ai tempi del Vaticano II alcuni padri, formatisi prima dell’evento conciliare, avevano delle resistenze. Fu compito del direttore dell’epoca, il padre Tucci, fare in modo che la rivista accompagnasse la svolta conciliare. Seguire la Civiltà Cattolica quindi significa seguire una storia di fedeltà al pontificato, a ciascun pontificato.
Nel suo discorso il Papa vi da tre parole su cui riflettere per il vostro lavoro. Innanzitutto l’inquietudine...
Quando il Papa ci invita ad essere inquieti, ci sprona a non aver paura di affrontare le questioni dibattute avendo sempre di mira la riconciliazione. E ci mette in guardia dal confondere la sicurezza della dottrina con la stasi della ricerca.
In questo rientra anche un recente articolo che è stato letto come una apertura al sacerdozio femminile?
Questa interpretazione è una forzatura che non ha fondamento. L’articolo faceva il punto del dibattito sul diaconato, riflettendo sui temi che una commissione sta discutendo.
Poi il Papa vi ha raccomandato l’incompletezza...
Il Papa ci invita a non difendere delle idee, come se il cristianesimo fosse una filosofia, ma guardare la realtà con lo sguardo di Cristo. E questo significa guardare anche al di fuori della Chiesa, far conoscere ai cattolici che Dio è al lavoro anche oltre i confini visibili della Chiesa.
E infine l’immaginazione...
Qui il Papa ci ha indicato come “patrono” fratel Andrea Pozzo, l’autore dei geniali affreschi della chiesa di Sant’I-gnazio. Un pittore che anche all’interno di spazi angusti, di muri e di tetti ristretti, riusciva a dipingere in modo tale che l’occhio vedesse aperture e profondità lì dove ci sono chiusure. Questo lavorare con l’immaginazione per favorire aperture è davvero una delle sfide più intriganti su cui cercheremo di impegnarci.