mercoledì 14 dicembre 2011
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Èsuggestiva e non priva di un certo fascino l’immagine di un’Italia divisa, sulle piccole e grandi dispute, come ai tempi di Peppone e don Camillo. L’accostamento è stato proposto in diversi resoconti, e non a caso, a proposito della campagna sull’Ici e sui privilegi che riguarderebbero la Chiesa cattolica. L’aver argomentato su queste pagine, come effettivamente è, che la legge italiana non prevede sconti per la Chiesa cattolica in quanto tale, ma esenzioni per una serie piuttosto ampia di realtà senza scopo di lucro (quando svolgono in un immobile, in modo esclusivo, una delle otto attività di rilevanza sociale previste), e aver fatto anche alcuni esempi concreti di strutture e circoli di ambienti "non cattolici", è bastato a rievocare il contesto poetico dei racconti di Guareschi. Dove la rivalità sulle idee e sul modello sociale finisce per essere sovrastata dalla bontà d’animo e dallo spirito di cooperazione dei protagonisti.Favole, si dirà. Ma non troppo. Perché se oggi l’Italia fosse veramente animata dallo spirito di quel tempo, da quel genere di rivalità, anche dura, ma nella differenza di posizioni sempre orientata onestamente alla costruzione di un futuro migliore per tutti, forse il nostro Paese avrebbe maggiori e più solide ragioni di speranza. È in quegli anni, nella stagione dei Peppone e dei don Camillo, che in Italia si è incominciato a implementare la sconfinata rete cattolica e laica di strutture e attività che ancora oggi rappresentano un patrimonio unico nel suo genere, il capitale sociale che ha permesso al Paese di crescere e di tenere nei momenti difficili. Una ricchezza fatta di solidarietà, mutualismo, associazionismo, e di opere che permettono ancora oggi a concetti e valori fondamentali di incidere positivamente nella vita delle persone.Quella rivalità, nascendo da persone vere, calate pienamente nel mondo in cui vivevano, non era animata da spirito distruttivo, semmai dalla volontà di fare ancora di più e ancora meglio. In uno scenario di libera competizione, e nella concorrenza delle idee, che ha finito per portare acqua a un mulino solo: quello del bene comune. È anche grazie a quello spirito di rivalità formale, ma di collaborazione informale, che sono nate associazioni, gruppi culturali, società sportive, circoli, scuole, realtà formative, assistenziali, cooperative. Quelle attività che, in buona parte, la legge Italiana ha riconosciuto e favorito negli anni, in vari modi, a prescindere dall’identità di chi le aveva promosse.Fosse ancora così, dicevamo, ci sarebbero buone ragioni per nutrire una certa fiducia. Malauguratamente una parte degli eredi di Peppone rimasti, seguendo un’iniziativa culturale che è esterna al loro mondo, oggi rischia di non comprendere che cosa è veramente in gioco e che cosa si mette in pericolo nell’attacco pretestuoso alla Chiesa cattolica in tema di Ici. Un assalto in piena regola, mosso – lo ribadiamo e lo dimostriamo ogni giorno – a prescindere dalla verità delle norme o delle imposte pagate, come si conviene alle più collaudate macchine del fango, e che ha come obiettivo non la costruzione di un contesto migliore per tutti, ma la distruzione di capitale sociale. Non si tratta qui di difendere privilegi, che non fanno comodo a nessuno, e che l’evidenza dimostra non essere affatto concessi per come vengono descritti, ma di tutelare strutture sociali costruite sempre nell’interesse della collettività. Di qualunque colore esse siano.Se ci fossero ancora favole da raccontare, oggi Peppone e don Camillo sarebbero probabilmente alleati contro chi, travisando la realtà, punta a staccare la spina al non profit più vitale e alle reti civili più belle, sarebbero uniti contro chi, per proteggere i veri privilegi, i veri evasori e le vere lobby, traveste da battaglia civile una crociata per la desertificazione sociale dell’Italia, contando anche di lucrare un facile dividendo politico. Ma, c’è veramente da chiedersi, a beneficio di chi?
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