I vescovi della Regione ecclesiastica Piemonte con il Papa - Vatican Media
Nell’introduzione all’ultimo Consiglio permanente, il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei l’ha definita «un momento che rende ancora più manifesta la collegialità» come «dimensione necessaria e insostituibile». Dallo scorso 22 gennaio, la Chiesa italiana è impegnata nella visita “ad limina”. Il termine latino, come noto, nel richiamare il pellegrinaggio alle tombe degli apostoli indica l’incontro dei vescovi con la Curia romana e, soprattutto, il Papa per riflettere sull’andamento delle diocesi e averne indicazioni e risposte. In particolare, le Chiese che sono in Italia vanno a Roma suddivise nelle 16 regioni ecclesiastiche che le compongono. In questi giorni è la volta dei presuli lombardi mentre la settimana scorsa a inaugurare il calendario è stata la Conferenza episcopale piemontese guidata dal vescovo presidente monsignor Franco Lovignana. Intenso il programma, con la visita ai dicasteri vaticani e giovedì 25 gennaio l’udienza da papa Francesco. «È stata una settimana davvero positiva - osserva monsignor Lovignana dal 2011 vescovo di Aosta – sia dal punto di vista dell'accoglienza, molto attenta e fraterna, sia dal punto di vista dei contenuti, perché c'è stata veramente la possibilità di un dialogo, pur nei tempi contenuti, visto che noi vescovi eravamo in 16 e tutti più o meno intervenivano». Le visite ad limina prevedono che ciascun pastore presenti una sorta di fotografia della sua Chiesa particolare. Per quanto riguarda Piemonte e Valle d’Aosta si tratta di 16 diocesi con 2196 parrocchie per un totale di oltre 4 milioni e mezzo di abitanti. «Ogni Chiesa particolare presenta una relazione a partire da un questionario che viene inviato dal dicastero dei vescovi – aggiunge Lovignana –. Sono più di venti capitoli suddivisi in sezioni tematiche che prevedono sempre una parte statistica e una più narrativa nella quale vengono espressi i problemi, ma anche le buone pratiche. Di per sé quando si arriva a Roma tutti i dicasteri hanno già avuto modo di leggere la parte che riguarda il loro ambito».
Parlando dell’incontro con il Papa le posso domandare qual è stato il maggiore complimento e la sottolineatura più negativa che vi ha fatto?
Non mi sembra possibile rispondere così, perché il Papa non ha inteso fare un discorso ma aprire veramente un dialogo. E di conseguenza dopo un intervento di presentazione generale molto breve, ognuno di noi ha esposto dei problemi. Posso dire che abbiamo percepito il Papa vicino, non solo nell’ascolto ma anche nella partecipazione alle nostre difficoltà. Una raccomandazione forte che ci ha fatto, anche alla luce della diminuzione del clero, è stata quella di guardare agli Atti degli apostoli, soprattutto al momento in cui scelgono di affidare ai diaconi le questioni, diciamo così, più pratiche e organizzate riservando a sé la preghiera e l'annuncio della Parola. Su questo è tornato almeno tre volte ribadendo che il primo compito del vescovo è quello della preghiera e poi di un annuncio convinto, forte della Parola.
Monsignor Franco Lovignana - Foto di archivio
Abbiamo detto che ciascuna diocesi, oltre naturalmente al discorso generale, presenta la propria situazione. Ma c'è una dato, un filo rosso che accomuna le Chiese particolari di Piemonte e Valle d'Aosta?
Abbiamo rappresentato al Papa la situazione problematica legata alla drastica diminuzione non sono del clero ma anche della partecipazione dei fedeli. Una condizione, come dire?, generata dal fenomeno della denatalità e dallo spopolamento di certi territori all'interno delle nostre diocesi. Allo stesso tempo notiamo comunque dei segni di speranza, legati in particolare ai giovani, che pur non essendo numericamente tantissimi, soprattutto se riuniti in gruppi sono molti vivaci. Un segno bello è arrivato dalla Gmg di Lisbona dove i ragazzi della nostra regione ecclesiastica erano poco meno di 5.000. Un altro seme positivo, di speranza, è un certo movimento in corso sulla ministerialità laicale. Ovviamente si tratta di un qualcosa che dobbiamo pensare, progettare e realizzare ma si tratta comunque di un ambito su cui investire. E poi aggiungerei l'attenzione di molti fedeli alla dimensione sociale, attraverso il volontariato. Sia all'interno delle realtà più strettamente legate alla Chiesa, penso alla Caritas, sia nell’ambito di associazioni o realtà laiche, dove però si impegnano cristiani motivati dal Vangelo.
Lei è uno dei vescovi che partecipò alla visita ad limina di dieci anni fa. Quali differenze ha notato rispetto ad allora?
È passato parecchio tempo per cui i ricordi non sono così nitidi però ho avuto la percezione di un clima forse più informale, ma anche più fraterno e più dialogico. L’ho riscontrato in tutti gli incontri. Compreso quello che dieci anni fa non avemmo con la Segreteria di Stato, e che oggi invece c’è stato con il cardinale Parolin e i suoi collaboratori. Abbiamo trovato un clima che ci ha messo a nostro agio, permettendoci di parlare liberamente, perché sentivamo che dall’altra parte c’era ascolto e insieme l’offerta di una parola di aiuto.
Come si ritorna nella propria diocesi? Più carichi, più stimolati?
Nella prima lettura di sabato scorso, il nostro ultimo giorno a Roma, san Paolo invita Timoteo a «ravvivare il dono di Dio mediante l’imposizione delle mani». Ecco, personalmente sento che dal punto di vista del ministero la visita è stata un momento di rigenerazione. Quindi ritorno in diocesi sicuramente più carico. E anche con degli spunti molto interessanti, da condividere con i collaboratori, con i Consigli. Penso, per esempio al discorso sulla comunicazione che mi ha molto stimolato, invitandoci a rivedere la nostre capacità, e a buttarci, pur essendo noi una piccola diocesi, anche nel mondo del digitale.