Il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - .
I giovani e le Chiese d’Europa. Un dialogo da riallacciare e rilanciare. È la convinzione di monsignor Claudio Giuliodori, che da oggi a giovedì sarà a Praga per la tappa continentale del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità, in qualità di presidente della “Commissione Giovani” del Ccee, il Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa. L’assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica pone l’accento sulla necessità di intercettare la domanda di spiritualità che sale dalle nuove generazioni. Prendendo spunto dall’icona evangelica dei discepoli di Emmaus.
Monsignor Giuliodori, quale sarà il posto dei giovani in questa assemblea continentale?
Il tema dei giovani è fortemente legato al cammino del Sinodo, perché l’innovazione che lo rende un’esperienza condivisa nasce proprio dalla precedente assemblea sinodale dedicata ai giovani. Perciò mi auguro che a Praga ci sia una particolare attenzione alla questione giovanile. Viviamo del resto un momento particolare. E come dice il documento “Allarga la tua tenda”, dall’anno di riflessione sinodale è emerso che dopo la pandemia e anche in questo contesto di tensione internazionale i giovani sono una delle categorie più segnate, manifestando smarrimento e in taluni casi situazioni di isolamento. Al n. 38 vengono citati come coloro che si sentono più trascurati e anche esclusi dalla stessa comunità ecclesiale.
C’è dunque un problema di relazioni tra la Chiesa e i giovani?
C’è una difficoltà di dialogo ed è in calo la partecipazione dei giovani alla vita della Chiesa. Quindi dobbiamo interrogarci su quali siano i percorsi, le attenzioni e le modalità più appropriate per ristabilire dialogo e fiducia. Naturalmente non si può non tener conto della Gmg di Lisbona che si celebrerà in agosto. Può essere una felice concomitanza. Quindi anche come “Commissione Giovani” del Ccee ci interrogheremo su come valorizzare in maniera particolare l’esperienza dell’incontro dei giovani con il Papa.
Ma a proposito di Gmg, dopo tutto il cammino fatto dai tempi di san Giovanni Paolo II, non è strano dire che la Chiesa e i giovani devono riallacciare i rapporti?
Sono cambiati i tempi. Oggi non ci sono più le diffidenze e le prevenzioni di carattere ideologico cui eravamo abituati negli anni ‘80 e ‘90. I millennials sono più liberi e disponibili, ma nello stesso tempo sono anche più indifferenti e abituati a una molteplicità di messaggi, di relazioni, di interessi, che rendono meno rilevante l’esperienza religiosa intesa come appartenenza, partecipazione, identificazione con la comunità ecclesiale. Sotto l’aspetto spirituale, però, come anche molti studi condotti dall’Università Cattolica dimostrano, la domanda cresce. Nel cuore portano un desiderio e una ricerca spirituale anche come risposta alla solitudine e allo smarrimenti che sperimentano. E il Sinodo della Chiesa universale, la Gmg e il Cammino sinodale della Chiesa in Italia sono grandi opportunità per rimodulare il nostro rapporto con loro.
Come fare?
In Italia ci siamo messi in ascolto. I primi due anni del Cammino sinodale e gli stessi Cantieri di Betania ci inducono ad essere particolarmente attenti ad aprire delle finestre di incontro, di dialogo. Questo i giovani lo apprezzano moltissimo, perché di fronte a un dialogo spirituale rispondono. Fanno più fatica a coltivare un cammino di fede e a sentire l’appartenenza ecclesiale.
Lei parlava della Gmg di Lisbona. Viene in mente anche il sorprendente numero di adolescenti che hanno partecipato all’incontro con il Papa il lunedì dopo Pasqua. Si può ripartire anche da appuntamenti come questi?
Molti ragazzi, di fronte a un’occasione per vivere un’esperienza forte insieme, si mobilitano. Poi questo non significa sempre fedeltà alla liturgia e al cammino di fede dei gruppi. Ma se lo scenario è cambiato, anche la proposta pastorale deve cambiare. Dobbiamo intercettare la domanda spirituale e metterci al fianco dei giovani e camminare con loro su strade molto complesse. Pensiamo solo all’impatto dei social e delle nuove tecnologie, del metaverso. Grandi risorse e opportunità, ma anche rischi perché possono generare insicurezza e smarrimento. La comunità ecclesiale può offrire risposte concrete alla domanda crescente di incontro, di relazione autentica. Con i giovani possiamo e dobbiamo sviluppare un’ermeneutica sinodale.
Che cosa significa?
Significa leggere insieme la realtà, camminare insieme e fare scelte profetiche. Ciò che ci proponiamo anche come Cammino sinodale della Chiesa italiana per una rinnovata esperienza di comunione e di missione che veda i giovani protagonisti.
Possiamo dire che l’icona è quella dei discepoli di Emmaus?
Sì, i discepoli di Emmaus che hanno guidato il Sinodo dei giovani, giustamente ritornano come paradigma anche per il cammino che siamo chiamati a fare oggi. A patto però che non ci fermiamo solo sui due momenti del dialogo con il Signore e della sua manifestazione eucaristica, ma che possiamo sperimentare anche la gioia di andare ad annunciare la buona notizia dell’incontro con il Risorto.
Lei è anche presidente della Commissione episcopale della Cei per l’educazione cattolica, la scuola e l’università. Come può contribuire questo mondo al cammino sinodale?
Siamo impegnati a tradurre nei diversi ambiti l’attenzione promossa dai Cantieri di Betania. In particolare la nostra Commissione sta pensando ad alcuni seminari che affronteranno tematiche emergenti: l’impatto delle nuove tecnologie sulla condizione dei giovani; la realtà scolastica e l’integrazione delle scuole paritarie per garantire la libertà di educazione; l’abbandono scolastico; il rapporto tra formazione e inserimento lavorativo, quindi la valorizzazione della formazione professionale; e infine l’attenzione al mondo universitario come uno degli spazi più importanti di incontro con i giovani, sia attraverso la pastorale universitaria, sia interagendo con il vasto campo della cultura.