«Fare passare questo messaggio, parlate con chiarezza ai vostri colleghi:
Avvenire non deve venire meno alla funzione primaria dell’attenzione all’uomo. È la sua vera missione». Questo ripeteva monsignor Ersilio Tonini ai componenti il comitato di redazione del giornale, i rappresentanti sindacali della testata, in occasione di ogni incontro formale o informale che fosse. Attenzione all’uomo, alla persona, ai suoi problemi, alle sue esigenze e aspettative; attenzione – di riflesso – alla società italiana in una fase storica tormentatissima, attraversata dalla scia di sangue degli anni di piombo.Ersilio Tonini, arcivescovo di Ravenna (amava sottolineare di essere stato in precedenza parroco di Salsomaggiore) ha guidato la società editrice del quotidiano cattolico dal 1978 al 1989. Presidente del giornale, in sostanza, ma anche apprezzato collaboratore e firma autorevole. I suoi pezzi che uscivano sotto lo pseudonimo Vescovo Guido erano riflessioni in bilico tra la filosofia, la teologia, la morale e la sociologia, testi profondi e godibilissimi.Personalità di vasta e solidissima cultura, Tonini conosceva ottimamente il tedesco, la lingua che meglio di tutte sa rendere i più arditi concetti filosofici. Ricordo che nei primi anni Ottanta, intervenendo ad un convegno promosso dalla Federazione della stampa e dall’Ucsi a Cagliari, aveva pungolato la platea di giornalisti, politici e cattedratici segnalando l’urgenza di «produrre pensiero fresco». Ricordo il rispetto con il quale – anni dopo, già cardinale – un pubblico marcatamente laico aveva accolto la sua relazione, una sorta di lectio magistralis, al Festival della scienza di Genova. Era un prete, un vescovo, un intellettuale che sapeva parlare a tutti. Trovatosi di fatto a fare l’editore cercava di capire le ragioni di chi – sindacalista del giornale – stando dall’altra parte del tavolo esaminava con lui questioni delicatissime, vitali davvero per
Avvenire. Tonini, succedendo a Mario Agnes, diventava presidente del consiglio di amministrazione della Nuova Editoriale Italiana in un momento drammatico della storia del Paese (il ’78 era stato l’anno della strage di via Fani e dell’assassinio di Aldo Moro) e della storia di questa testata. Sembrava che Avvenire, nato appena dieci anni prima, non potesse sopravvivere, sulla sua sorte si accavallavano voci allarmanti. Emblematico fu il caso di un giornalista disoccupato tentennante ad una proposta di assunzione: «Si dice in giro che chiuderete a breve». Temeva di ritrovarsi a spasso di lì a poco.Tonini
Avvenire lo tenne in piedi, lo difese contro tutto e contro tutti. Uomo mite, trovava all’occorrenza la determinazione che ci voleva. Trattava con la Segreteria di stato vaticana, dialogava in maniera serrata (e si misurava con alcune spigolosità) con i confratelli della Conferenza episcopale, coinvolgeva nel rilancio del giornale una pattuglia di imprenditori di area cattolica e alla fine la spuntava. Il progetto di rinascita il presidente-arcivescovo lo presentava già nel novembre 1980 e nel giro di un paio di anni grazie a misure di risanamento dei bilanci, pesanti ma obbligate, l’azienda fu in condizione di guardare al futuro con una certa serenità. Non mancarono robuste riduzioni di organico, ma senza licenziamenti o ricorsi alla cassa integrazione. Tonini, fedele al principio dell’attenzione primaria all’uomo che doveva fare premio su qualunque altra logica, convinse l’amministratore delegato a privilegiare lo strumento del prepensionamento e quello soft dell’esodo incentivato, così che anche per il comitato di redazione fu meno ardua la conduzione delle trattative. Andava a Ravenna, la triade del comitato. L’arcivescovo riceveva nel suo modestissimo alloggio in seminario, si parlava per ore, a volte si condivideva il suo parco pasto di mezzogiorno e si tornava a discutere. Alla fine l’intesa saltava fuori anche sulle questioni più spinose, i numeri, gli organici, i costi. Oppure veniva lui a Milano, guidava personalmente la sua Ritmo diesel, parcheggiava sotto le finestre della redazione di via Mauro Macchi, la sede da poco inaugurata dopo il trasloco dal Palazzo dei Giornali di piazza Cavour. Ogni incontro era una lezione di umanità, una occasione di arricchimento culturale per l’interlocutore.Fino al 1989 monsignor Ersilio Tonini è rimasto alla testa della editrice rappresentando la continuità aziendale mentre i direttori si avvicendavano sotto la sua presidenza: Angelo Narducci, Angelo Paoluzi, Piergiorgio Liverani, Guido Folloni. Nell’89 Tonini passò il testimone al nuovo presidente, l’arcivescovo di Ancona Dionigi Tettamanzi. Ma da Ravenna il suo rapporto con Avvenire non fu mai interrotto, i suoi scritti illuminanti e le sue testimonianze preziose hanno continuato ad arricchire il giornale anche dopo che l’ormai arcivescovo emerito era stato insignito della porpora cardinalizia nel 1994.