Papa Francesco con fratel Mura, che gli fece da autista e assistente per 6 anni in Argentina
Ora è costretto a vivere su una carrozzina all’interno dell’infermeria della Curia dei gesuiti a Roma, ma ogni giorno non dimentica, sgranando il Rosario, di pregare per il suo antico superiore quando era in Argentina, «padre Jorge Mario Bergoglio salito al soglio di Pietro con il nome di Francesco», come ama ribadire.
È la trama quotidiana, cadenzata da qualche visita spesso inaspettata, di fratel Salvatore Mura, il gesuita argentino classe 1933, di origini sarde, che ha accompagnato nella veste di collaboratore e autista per sei anni (1973-1979) Bergoglio, allora provinciale dei gesuiti d’Argentina.
«Il rapporto tra me e lui da quando è divenuto Papa non è cambiato – confida – è rimasto uguale a come l’ho conosciuto, con lo stesso tratto di umanità e di semplicità che sempre l’ha contraddistinto». Uno stile di annuncio e un coraggio apostolico di Francesco, agli occhi di fratel Mura, che trova il suo fondamento e la sua radice di senso nella predicazione quasi quotidiana da quando è divenuto vescovo di Roma: «Quello di imparare a pregare da lui e di apprendere proprio dalle sue catechesi ordinarie, magari ascoltando le sue omelie a Casa Santa Marta, quali sono veramente i suoi sogni e le aspettative per la Chiesa del futuro».
Perle di saggezza, quelle del suo antico provinciale, che spiegano il suo “programma” pastorale. «Ogni volta che leggo e ascolto le sue Messe mattutine – è la riflessione dell’anziano gesuita – comprendo dove veramente lui voglia portare il gregge e con quali intuizioni profetiche stia indicando la strada alla Chiesa...». Fratel Mura nella sua stanza è circondato dalle foto che mostrano il senso della sua vita e dei suoi incontri dal sapore speciale: campeggiano qua e là molte istantanee anche recenti con il Pontefice, alcune con Pedro Arrupe (lo storico generale della Compagnia di Gesù ai tempi di Bergoglio “semplice gesuita”); si vedono anche le immagini di fratel Mura con il cardinale gesuita Paolo Dezza (già confessore di Paolo VI e Giovanni Paolo I) di cui questo religioso ignaziano ora 83enne fu per anni stretto collaboratore fino alla morte nel 1999.
«La mia vita è sempre stata all’insegna del servizio umile dentro la Compagnia e ho sempre intravisto in una figura come padre Bergoglio uno di quei gesuiti che era più in grado di capire la funzione, spesso semplice e nascosta, di noi fratelli coadiutori temporali», racconta commosso. Nel giorno dell’80° compleanno del suo “superiore di vecchia data” divenuto vescovo di Roma, fratel Mura si sente di esprimere un desiderio: «Che il Signore lo tenga nelle sue mani come lo sta tenendo ora. Che lo continui a benedire come sta facendo ora che è il successore del primo fra gli apostoli».
Fratel Mura – nella sua ricca raccolta di ricordi e di impressioni sul suo provinciale – non rimane stupito di un fatto. «Ci sentiamo ancora al telefono. Si tratta di brevi saluti, cenni di un affetto lontano ma radicato. Rappresentano dei piccoli gesti di vicinanza di padre Jorge verso il suo fratello coadiutore...». A questo proposito rivela un particolare: «Pensi che papa Francesco nel settembre del 2013 voleva portarmi con sé nel suo viaggio apostolico in Sardegna. Il motivo? Sapeva che la mia famiglia era originaria di Alghero e io sono da sempre un devoto della Madonna di Bonaria. Ho declinato l’invito a causa degli acciacchi dell’età. Ma ho aggiunto: “Sarò comunque pellegrino con la mia preghiera con lei in Sardegna...”».
Il gesuita vive con gratitudine speciale il dono di questa amicizia dai tratti particolari con il 265° successore di san Pietro. «Non mi sarei mai aspettato la sua elezione a Pontefice – rivela – ma mi ha molto consolato vedere che il ruolo pubblico non lo ha cambiato. È sempre quel “semplice padre”: lo stesso che avevo conosciuto tanti anni fa in Argentina». E osserva: «Entrambi abbiamo fatto le scuole dai salesiani e quello che mi ha continuamente colpito è la sua grande ammirazione per don Bosco e per le sue intuizioni nel campo dell’educazione».
Fratel Mura torna con la mente agli anni difficili che ha attraversato la Compagnia di Gesù in Argentina, alla stima «riposta in padre Jorge da un uomo dello spessore di Pedro Arrupe», «alla tenerezza delle telefonate – a cui io facevo da “tramite” – con cui la mamma Regina Sivori cercava suo figlio allora giovane provinciale...» ma anche a quel tratto di confidenza e stima intercorsa tra lui semplice religioso ignaziano e il superiore di tanti anni fa.
«Ogni volta che veniva a Roma, anche quando era già cardinale arcivescovo di Buenos Aires, ci siamo congedati con questa richiesta da parte di Bergoglio: “Fratel Salvatore, quando puoi vai a fare una visita alla Madonna nella Basilica di Santa Maria Maggiore per me, e ricordati di pregare per le mie intenzioni e l’Argentina”. Finché le forze e l’autosufficienza anche motoria mi hanno sostenuto ho mantenuto l’impegno: un piccolo voto in fondo di obbedienza verso il mio antico provinciale».