sabato 7 dicembre 2024
Parla l’arcivescovo di Toronto, 53 anni, oggi creato cardinale. Figlio di emigrati italiani, è profondamente legato al nostro Paese
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Tra i 21 nuovi cardinali che saranno creati oggi pomeriggio nel Concistoro ordinario pubblico ci sarà anche l’arcivescovo di Toronto, Francis Leo, il quarto più giovane della tornata con i suoi 53 anni. Nato a Montréal da genitori emigrati dal Sud Italia, Leo è entrato nel Seminario della città capoluogo del Québec nel 1990, a 19 anni, nel 1996 è stato ordinato sacerdote e più tardi è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede, lavorando nella nunziatura in Australia e presso la Missione di Studio della Santa Sede a Hong Kong. Nominato vescovo ausiliare di Montréal nel 2022, l’anno successivo è diventato pastore dell’arcidiocesi di Toronto.

Arcivescovo e ormai cardinale Leo, accanto alla gioia ha anche qualche timore nel diventare un porporato?

Direi di no, nessun timore. Sono stato chiamato a svolgere questo nuovo servizio ecclesiale – la vita è fatta di servizio – e ho accettato confidando nella grazia del Signore innanzitutto, poi nel sostegno dei fedeli, con le loro preghiere, degli angeli e dei santi. Non siamo mai soli, siamo una grande famiglia. Quindi non ho paura, farò del mio meglio, voglio servire con tutto il cuore, essere attento a quello che mi sarà chiesto di fare. Sono felice di poter dare il mio piccolo contributo alla missione della Chiesa.

Cosa le ha detto suo padre quando ha saputo che lei sarebbe diventato cardinale? So che sua madre invece è mancata alcuni anni fa.

Ha pianto, non ho capito bene quello che diceva, oltre a “tanti auguri”, perché piangeva. Era molto, molto contento.

In che lingua parlavate in famiglia?

Parlavamo e parliamo in italiano, o meglio nel nostro dialetto regionale.

Calabrese o campano?

Campano. Mia mamma, che è morta nel 2008, era campana, mio papà è mezzo campano e mezzo calabrese, ma a casa abbiamo sempre parlato il dialetto campano. La mamma fa la famiglia, come si dice.

Quindi la possiamo annoverare anche fra i cardinali italiani.

Certamente, ne sono fiero.

Lei ha conseguito un dottorato in mariologia ed è fondatore della Canadian Mariological Society: da dove nasce la sua sensibilità mariana?

Credo dalla famiglia, dove abbiamo mantenuto sempre una sana devozione mariana, e dalla comunità parrocchiale in cui sono cresciuto, dove la figura della Madonna era molto presente. Fin da bambino ho sentito questa presenza materna, mariana, nella mia vita personale, nella mia fede. Anche crescendo Maria mi ha sempre affascinato, ho quindi potuto studiarne la teologia e vederne sempre meglio la bellezza, come stella dell’evangelizzazione, come nostra sorella, nostra madre, come colei che ci guida e ci sostiene nel cammino.

Che rapporto ha con la preghiera del Rosario?

Dopo la Messa e l’ufficio divino è la mia preghiera preferita. È veramente un mezzo di meditazione, di contemplazione. Cerco di vedere gli avvenimenti della mia vita, alla fine di ogni giornata, attraverso i misteri del Rosario.

Il cardinale arcivescovo di Toronto Francis Leo

Il cardinale arcivescovo di Toronto Francis Leo - Web

È possibile rilanciare il Rosario oggi? C’è chi lo vede come una devozione del passato.

Perché purtroppo lo ha capito male. È una preghiera antica e sempre nuova, come dice sant’Agostino di Dio. È una preghiera che porta molto frutto spirituale, che ha molto da insegnarci, per esempio sull’importanza dell’ascolto – con il suo il ritmo, con il suo ripetere parole d’amore – e sull’importanza di prendere del tempo per dialogare con il Signore.

Lei è anche terziario domenicano: com’è nata questa sua seconda vocazione, per così dire?

L’ho scoperta attraverso gli scritti e l’esempio di san Tommaso d’Aquino, che ho sempre ritenuto un modello di equilibrio tra fede e ragione, tra vita contemplativa e vita attiva, tra preghiera e studio. Per quanto riguarda la vita domenicana mi ha molto colpito il suo tratto mariano così vivo, per cui ho voluto entrare a far parte di questa comunità per partecipare della sua missione e dei suoi benefici spirituali. Una comunità che ha molto da dire al mondo di oggi, per esempio per quanto riguarda il dialogo tra la fede e la scienza, l’importanza della Parola di Dio, con la predicazione.

Lei è stato ricevuto nella Fraternità sacerdotale di San Domenico nella basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma: come mai proprio lì?

Studiavo lì di fronte, alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, andavo quasi tutti i giorni lì, sulla tomba di santa Caterina da Siena, e mi è venuto naturale iniziare il cammino con i domenicani della Minerva.

C’è una lettura spirituale che ha fatto recentemente e che l’ha colpita, che vorrebbe segnalare?

Sto rileggendo Henri de Lubac, i suoi scritti sul tema della maternità della Chiesa – un tema patristico, ma che anche papa Francesco sta facendo riscoprire – su come la Chiesa è donna, è vergine, è madre. È un tema importante perché molti hanno una visione della Chiesa inadeguata, incompleta, la vedono solo come un’istituzione o solo come comunità, mentre la Chiesa è un mistero, è un dono di Cristo. Dobbiamo riscoprire la Chiesa madre a maestra, diceva Giovanni XXIII, una madre attraverso la quale abbiamo avuto una vita nuova. È la Chiesa che nutre, che accompagna, che fa crescere i suoi figli attraverso la testimonianza, attraverso i sacramenti, la Parola. Dobbiamo amarla perché è nostra madre, dobbiamo difenderla e contribuire a far risplendere la sua bellezza.

Qual è l’atteggiamento che bisogna avere di fronte a una secolarizzazione aggressiva quale quella che vive il Canada, ma anche l’Europa?

Innanzitutto, non aver paura. Abbiamo il regalo più bello che ci possa essere, la fede, quindi non dobbiamo aver paura della cultura odierna. Secondo, rinforzare la famiglia come nucleo della società e dove la fede viene nutrita. Terzo, studiare, conoscere bene la nostra fede per difenderla – per rispondere alle obiezioni – per viverla e farla conoscere sempre meglio agli altri. Quarto, pregare: essere uomini e donne di profonda preghiera, di profonda spiritualità, disarma le voci critiche, riscalda il mondo freddo attorno a noi e fa risplendere la luce di Cristo. Questo ci permette di costruire ponti con il mondo. Non dobbiamo avere paura e non dobbiamo nemmeno essere arroganti, ma proporre Cristo e la sua dottrina con semplicità, con umiltà, con la forza del Vangelo, con parresia come dice papa Francesco. Rispetto e dialogo, ma sempre fedeli a chi siamo, come figli di Dio e membri di santa madre Chiesa.

Lei ha un tono di speranza, mentre in tanti, almeno in Europa, di fronte alla Chiesa che si restringe serpeggia un senso di malinconia, di sfiducia.

Occorre non dimenticare mai chi siamo, figli di Dio, discepoli di Cristo, templi dello Spirito Santo. La speranza sta dentro di noi. Cristo ha detto che sarà sempre con noi fino alla fine dei tempi. Con Cristo, diceva san Giovanni della Croce, abbiamo tutto, con lui abbiamo la fede, con lui abbiamo la grazia, con lui abbiamo il perdono, con lui abbiamo speranza, abbiamo vita eterna, abbiamo nuove possibilità, con lui abbiamo lo Spirito Santo che ci indica nuovi sentieri e ci apre sempre di più all’altro che è il Signore e agli altri.

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