lunedì 7 luglio 2014
«Sono stato accanto all’abbé Pierre. Durante l’occupazione di un palazzo a Parigi disse: saremmo dei vigliacchi se riducessimo il problema della casa a una questione di buon cuore».
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Apprezza il linguaggio diretto con cui scrive papa Francesco. E soprattutto il «coraggio di un testo» che ruota attorno a un «tema fondamentale»: si fa «esperienza di Dio incontrando il prossimo». Renzo Fior è il presidente di Emmaus Italia, il «braccio» nazionale del movimento fondato dall’abbé Pierre per offrire accoglienza e speranza a chi vive nell’emarginazione. Fra le mani ha l’esortazione apostolica Evangelii gaudium. «Se mettessimo davvero in pratica le intuizioni che il Papa ci regala – spiega –, cadrebbero modi di fare, prassi e approcci che sono ben lontani dal Vangelo».L’opzione per i poveri è richiamata più volte nel documento. Ed è uno dei pilastri dell’azione del movimento, presente nella Penisola con sedici gruppi. «Il nostro slogan afferma: "Servire per primi i più sofferenti". Ciò che conta è vivere con i poveri e non per i poveri. Talvolta si sostiene che l’attenzione agli ultimi nasce dalla compassione. Invece occorre riscoprire la comunanza come stile per abbracciare coloro che sono lasciati ai margini. Si tratta di condividere la strada insieme». Il presidente, però, mette in guardia da una deriva. «Serve stare attenti a non usare i poveri. Se guardiamo al mondo dei media, ad esempio, sono molte le proposte lanciate nel segno dell’aiuto. Ma spesso dietro questi progetti c’è il desiderio di mettersi in mostra. Diceva l’abbé Pierre che non abbiamo bisogno di beneficenza: è necessaria la giustizia».Nell’esortazione apostolica Bergoglio afferma proprio che «dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia». «La seconda parte dello slogan che riassume la filosofia del movimento evidenzia che bisogna lavorare per eliminare le cause dell’ingiustizia – dichiara Fior –. Nella mia esperienza di presidente di Emmaus Internazionale dal 1999 al 2007, sono stato accanto all’abbé Pierre. Durante l’occupazione di un palazzo a Parigi, se n’è uscito con una frase forte: saremmo dei vigliacchi se riducessimo il problema della casa a una questione di buon cuore. Con questa affermazione voleva sottolineare che giustizia vuol dire mettere al centro la persona».Il Papa critica «un’economia dell’esclusione e della iniquità» invitando a superare la «cultura dello scarto». «Essa – prosegue il presidente – è frutto di una concezione che divinizza il mercato. In quest’ottica anche l’uomo diventa merce. La sfida è ricondurre l’economia alla sua vocazione originaria: quella di essere a servizio della persona. In pratica siamo chiamati a riformare il concetto mercantile dell’agire sociale».Secondo Bergoglio, il nostro tempo «con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo» produce «una tristezza individualistica che scaturisce dal cuore comodo e avaro». «Non è il possesso che dà la felicità – sostiene Fior –. E la medicina sta nel capire che è necessario aprirsi alla relazione con l’altro. Il falso idolo dell’avere si sconfigge con l’empatia che va declinata nel quotidiano».Una parola cara al movimento è solidarietà. E Francesco chiede di «creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità». «Purtroppo il vocabolo ha assunto oggi un valore ambiguo – chiarisce il presidente –. Non ci può essere solidarietà se non c’è una tensione verso la costruzione di un mondo migliore. Occorre spendersi affinché i beni della terra siano appannaggio di ogni persona». L’esperienza di Emmaus è segnata dallo stile comunitario. Il Papa esorta a «sviluppare una comunione nelle differenze» e ricorda che il modello è il poliedro, non il cerchio. «La figura geometrica indicata da Francesco è un richiamo all’incontro nella diversità. Oggi si tende a considerare le differenze non come una ricchezza ma come un elemento che crea scompiglio. Sta al credente, ma dire a ogni uomo di buona volontà, fare in modo che il mondo sia una casa per tutti e che ciascuno possa avere un posto dignitoso nella storia».
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