martedì 22 ottobre 2019
Molto si è detto e si è scritto sul patrimonio immobiliare della Santa Sede e in particolare di quello di proprietà dell’Apsa. I numeri certificati parlano chiaro.
Finanze vaticane tra conti, immobili e Ior: le verità ignote ai più
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I numeri degli immobili

2.400 appartamenti a Roma 600 tra negozi e uffici

Molto si è detto e si è scritto sul patrimonio immobiliare della Santa Sede e in particolare di quelli di proprietà dell’Apsa. I numeri certificati parlano in realtà di 3.000 unità: in particolare si tratta di 2.400 appartamenti e di 600 tra negozi e uffici. Il 60 per cento di questi sono affittati a dipendenti vaticani a canone agevolato. Non ci sono immobili sfitti se non gli appartamenti di servizio e quelli sede di uffici di Curia. Per questo patrimonio immobiliare l’Apsa paga regolarmente l’Imu la Tasi e L’ires al comune di Roma e a quello di Castel Gandolfo. Nel 2018 una cifra pari a 9,2 milioni di euro.

Conti spesso in rosso

Una costante anche nei pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI

Il bilancio del Vaticano è in rosso? Si rischia il default? La notizia può far sobbalzare solo chi non ha memoria storica. In realtà il bilancio in rosso è quasi una costante Oltretevere. Nel 1979, primo anno di pontificato di Giovanni Paolo II, si chiuse con 19 miliardi di lire di deficit. Nel 1980 con 31 miliardi. E anche papa Wojtyla corse ai ripari varando alcune riforme. Esaminando poi i bilanci tra il 2001 e il 2015 si può constatare che il bilancio consolidato della Santa Sede si chiude 10 volte in passivo e solo sei volte in attivo. E negli anni della crisi, dal 2008 in poi va ancora peggio: sei volte in passivo e due in attivo.

Un bilancio fatto di offerte

Tra le entrate l’Obolo di San Pietro e i contributi delle diocesi

Il Vaticano non ha un sistema fiscale con imposte e tasse. E neanche un Pil (prodotto interno lordo), se si eccettuano i proventi del "terziario" costituito dalle entrate dei Musei Vaticani. I bilanci sono fatti soprattutto di offerte. Da un lato infatti i vescovi di tutto il mondo, come prescrive l’articolo 1271 del codice di diritto canonico, devono contribuire inviando una cifra annuale alla Santa Sede (24 milioni di euro nel 2015, ultimo dato noto). Dall’altro l’Obolo di San Pietro che viene raccolto presso i fedeli di tutto il mondo il 29 giugno (78 milioni di dollari Usa nel 2013, ultimo dato pubblicato).

L’Istituto Opere di Religione

L’operazione trasparenza di cui nessuno parla

Nelle inchieste sui presunti "scandali" finanziari d’Oltretevere, quasi sempre viene chiamato in causa anche lo Ior, immancabilmente definito la "banca del Vaticano". Niente di più errato. Lo Ior è un ente che fornisce servizi finanziari a una clientela molto limitata: enti della Curia Romana, congregazioni religiose, dipendenti e pensionati della Santa Sede. Oggi lo Ior, dopo un percorso di sempre maggiore trasparenza, è sottoposto a un preciso quadro di regole e vigilato dall’Autorità di informazione finanziaria (Aif). Pubblica anche su internet il bilancio, dal quale si evince che nel 2018 ha avuto un risultato di gestione di 17,5 milioni di euro.

Tratto da "I soldi della Chiesa, ricchezze favolose e povertà evangelica" di Mimmo Muolo, Paoline, 2019, pagg. 200, euro 15)




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