mercoledì 8 aprile 2015
Il cardinale Fernando Filoni è appena tornato dalla missione in Iraq, dove ha portato la solidarietà concreta del Pontefice. Il presidente del Parlamento ha invitato il Santo Padre. (Luca Geronico)
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Ogni luogo visitato, ha detto il cardinale Ferdinando Filoni da poche ore rientrato in Vaticano dal Kurdistan iracheno, «è stata una stazione della Via crucis che questa gente vive quotidianamente». Come segno di solidarietà, «molto apprezzato», 6mila colombe pasquali oltre a somme di denaro messe a disposizione dal Papa. Una Settimana santa che il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione fra i popoli ha trascorso fra Giordania e Iraq, celebrando in particolare il triduo pasquale a Erbil, la capitale del Kurdistan iracheno, in modo da «essere presenti tra i rifugiati iracheni». Ricevuto ieri sera a Santa Marta dal Pontefice, il cardinale Filoni ha riferito le impressioni del suo "pellegrinaggio" nei centri di raccolta dei rifugiati e fra le famiglie, non solo cristiane, in fuga ormai da oltre sei mesi dalle violenze dell’Is. Due milioni in tutto i profughi in Iraq, di cui la metà nel Kurdistan: fra loro oltre 120mila i cristiani scappati da Mosul e dalla Piana di Ninive fra giugno e agosto dello scorso anno e ora accolti in rifugi in gran parte messi a disposizione dalla Chiesa locale. Tutti, nella piccola comunità cristiana, ora invocano una visita di papa Francesco: un invito, in tal senso, è giunto pure dalle autorità irachene. Salim al-Jabouri, presidente del Parlamento iracheno, incontrato a Baghdad dal cardinale Filoni, con una lettera ha infatti invitato il Papa a visitare l’Iraq: nel testo della lettera si afferma pure che i cristiani sono parte della nazione irachena e per questo non devono lasciare l'Iraq. Jabouri ha pure assicurato delle leggi adeguate a tutela di tutte le minoranze. Sulla stessa lunghezza d'onda anche il presidente della regione autonoma del Kurdistan iracheno, Massoud Barzani, con cui Filoni ha avuto un colloquio di 45 minuti, così come il primo ministro e il presidente del Parlamento curdo. «Ora si tratta di prendere atto della realtà in cui essi si trovano e, nella prospettiva della liberazione del territorio, di dare loro garanzie per un ritorno nei villaggi attualmente occupati o teatro di scontri», ha affermato il cardinale.
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