Un anno di grande gioia. Un anno che ha fatto nuovamente comprendere la bellezza del sacerdozio. Ma anche un anno segnato dal dolore, perché «sono venuti alla luce i peccati» di alcuni sacerdoti. Nel giorno in cui si concludono i 12 mesi dedicati ai presbiteri di tutto il mondo, Benedetto XVI stila un primo bilancio dell’esperienza vissuta insieme alle Chiese dei cinque continenti. E non può mancare un riferimento alla grande ombra che, a causa dell’infedeltà di pochi, ha gettato discredito sull’operato – spesso eroico – di moltissimi. Il Papa ne parla durante l’omelia della Messa che ieri, in una piazza San Pietro inondata di sole e gremita da oltre 15mila preti di tutto il mondo (salutati alla fine in 7 lingue), ha posto la parola fine all’Anno che egli stesso aveva voluto per ricordare i 150 anni della morte del santo Curato d’Ars.«Dopo aver ricordato che «il sacerdozio non è semplicemente «ufficio» ma sacramento», e che «Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini», Papa Ratzinger fa notare: «Volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza». Inoltre «volevamo mostrare nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del nostro sì». Perciò, sottolinea il Pontefice, «era da aspettarsi che al "nemico" questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo. E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario».Di qui dunque la sua nuova richiesta di perdono e il solenne impegno. Un vero e proprio «mai più». «Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più; promettere che nell’ammissione al ministero sacerdotale e nella formazione durante il cammino di preparazione ad esso faremo tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità della vocazione e che vogliamo ancora di più accompagnare i sacerdoti nel loro cammino, affinché il Signore li protegga e li custodisca in situazioni penose e nei pericoli della vita».Quanto è avvenuto, tuttavia, non muta la sostanza di questi 12 mesi. «Se l’Anno sacerdotale – fa notare infatti Benedetto XVI – avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio. Così consideriamo quanto è avvenuto quale compito di purificazione, un compito che ci accompagna verso il futuro e che, tanto più, ci fa riconoscere ed amare il grande dono di Dio».Ai sacerdoti di tutto il mondo il Papa rivolge il suo incoraggiamento. «Dio si prende cura di me, di noi, dell’umanità. Questo pensiero dovrebbe renderci veramente gioiosi. Lasciamo che esso penetri profondamente nel nostro intimo. Allora comprendiamo anche che cosa significhi: Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini» e «ci prendiamo cura di loro».L’immagine che il Papa usa è quella del Buon Pastore. Anzi la sua omelia diventa a un certo punto quasi un commento al Salmo 119. «Noi non brancoliamo nel buio. Dio ci ha mostrato qual è la via». Anche quando questa via attraversa «la valle oscura» della morte, dice il Papa, «Egli è là». «Sì, Signore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, affinché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché possiamo mostrare loro la tua luce».Infine Benedetto XVI ricorda anche il compito del pastore di guidare «le pecore» lontano dall’errore. «Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede». Questo però non significa non aiutare le persone a superare i passaggi difficili della loro vita. Anche questo rientra nei compiti del sacerdote. E anche questo il Papa ha invitato a fare. Perché il tempo di grande gioia continui. Da ora in poi senza ombre.