martedì 23 aprile 2013
​A Rimini da venerdì a domenica 21 aprile in 24mila agli esercizi spirituali della Fraternità. No a riduzioni moralistiche della fede, il richiamo alla personalizzazione per affrontare le sfide della modernità.
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«Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra?». Le parole di Gesù riecheggiano duemila anni dopo come una domanda con cui ogni cristiano deve misurarsi, specie in un’epoca in cui la fede non è più un presupposto ovvio e condiviso, tanto da avere indotto Benedetto XVI a lanciare un anno appositamente pensato per tornare alle radici di qualcosa dato troppo a lungo per scontato. Con questa domanda si sono misurate 24mila persone che, da venerdì a domenica scorsa, hanno preso parte a Rimini agli annuali esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e liberazione, guidati da don Julián Carrón e seguiti in videocollegamento da 21 Paesi. L’inizio del pontificato di Francesco, ha ricordato il sacerdote spagnolo che guida il movimento nel telegramma inviato al Papa, «ci spinge a riscoprire che la fede non è una teoria o un insieme di regole, ma il riconoscimento di una Presenza "attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana". E noi, nella memoria di don Giussani, desideriamo rivivere la sua stessa esperienza per essere così pieni dello sguardo di Cristo da essere una presenza diversa», soprattutto in quelle che Bergoglio definisce le «periferie esistenziali» di questo mondo. Descrivendo la dinamica umana dei tanti che – come Zaccheo, i pubblicani, la samaritana – rimasero indelebilmente segnati dall’incontro con Cristo, Carron ha ricordato la frase di sant’Agostino: Visus est, et vidit. Solo dopo essere stato raggiunto dallo sguardo d’amore di Gesù, l’uomo diventa capace di vedere in modo nuovo se stesso e la realtà. Non è quindi anzitutto sulla coerenza e sul rispetto di una serie di regole etiche e di prescrizioni che si fonda il cristianesimo, ma su un avvenimento che accade, sull’iniziativa di Dio nei confronti dell’uomo e sul "sì" di chi accetta di lasciarsi interpellare da questa iniziativa. È in gioco anzitutto, dunque, la nostra libertà, che neppure Dio può violare. Questa dinamica batte in breccia le riduzioni moralistiche del cristianesimo ed esalta la responsabilità personale. E proprio sulla necessità di una rinnovata "personalizzazione della fede" ha insistito Carrón citando parole pronunciate da Giussani nel lontano 1976, ma che risuonano attualissime anche oggi: «Noi che siamo entrati nell’agone ecclesiale e sociale quali affermatori del cristianesimo come esperienza, adesso privilegiamo l’intellettualismo e l’attivismo. Vi è un consenso ideologico invece che una esperienza di vita». Da qui la necessità di recuperare la pertinenza della fede alle esigenze dell’esistenza ordinaria, unica "qualità" che può farla percepire come qualcosa di interessante per l’oggi dell’uomo e dell’umanità, come una risorsa che permette di affrontare quello che Pavese definisce «il vivere che taglia le gambe», «lo sforzo per star vivi d’ora in ora, la notizia del male meschino, fastidioso come mosche d’estate». È l’evocazione di un cristianesimo tutto carne e sangue, che non cerca egemonie ma si propone come una presenza che interpella e provoca l’umano nel presente. Un fatto affascinante , come quello che fa scrivere alla poetessa Ada Negri queste parole: «Tutto per me Tu fosti, e sei». Un fatto capace di coinvolgere e allargare la ragione, di mostrare l’utilità della fede per la vita concreta e di rispondere alle sfide della modernità, in un mondo dove tutto dice l’opposto. Nell’omelia della Messa celebrata sabato, il cardinale Tauran ha ricordato che oggi «molti sono disposti a riconoscere una divinità che sta sopra di loro ma non disturba, ciò che da scandalo è che intervenga nella vita. Il cristianesimo non è una certa visione del mondo, noi siamo qui perché convinti che Qualcosa è accaduto e che questo interessa noi e tutti». Qualcosa che è più forte delle inevitabili debolezze umane, e può far pronunciare, insieme a san Paolo, le parole scelte come titolo degli esercizi spirituali: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?».
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