San Lodovico Pavoni - .
Undici giugno 1821. Il vescovo di Brescia, Gabrio Maria Nava, celebra un solenne pontificale nella Basilica di San Barnaba, il cui rettore è don Lodovico Pavoni. Quel gesto è rimasto nelle cronache come l’inaugurazione ufficiale del «Collegio d’arti» che Pavoni stava avviando nell’adiacente convento di San Barnaba. Sono dunque trascorsi due secoli dalla fondazione della prima scuola grafica d’Italia. Ricorda questo anniversario il convegno «San Lodovico Pavoni-Duecento anni di un carisma educativo» che si svolge oggi alle 16 a Brescia nella stessa Basilica, oggi «Auditorium San Barnaba», dedicato anche a Pavoni dal 2016, l’anno della sua canonizzazione.
Un’occasione preziosa per andare al cuore di un’esperienza profetica rivolta ai ragazzi poveri, abbandonati, orfani, che intreccia Vangelo, carità, educazione. Ecco, dunque, le relazioni offerte da Fulvio De Giorgi, ordinario di Storia dell’educazione all’Università di Modena e Reggio, da Luciano Caimi, ordinario di Storia della pedagogia alla Cattolica di Brescia, e di padre Gildo Bandolini, pavoniano. L’incontro si apre con i saluti del vescovo di Brescia, Pierantonio Tremolada, del superiore generale dei Figli di Maria Immacolata (Pavoniani) padre Ricardo Pinilla Collantes, del sindaco Emilio Del Bono e del presidente della Provincia Samuele Alghisi.
Andare al cuore e alla radice di questa storia, 200 anni dopo, ancora vitale e feconda, significa ricordare anzitutto «che si tratta di una storia di santità. Quando parliamo di Pavoni, parliamo di un prete educatore che la Chiesa ha proclamato santo. E la sua è un’esperienza originale di santità sociale, vissuta nell’offerta ai giovani poveri di un’occasione di formazione professionale, di educazione cristiana, di auto-promozione e liberazione dall’indigenza», spiega ad Avvenire De Giorgi (che oggi, festa del Sacro Cuore, parlerà anche di come il santo bresciano visse questa devozione). Pavoni, nato a Brescia nel 1784 e morto a Saiano nel 1849 – dopo aver portato in salvo i suoi ragazzi durante l’insurrezione della città contro gli austriaci, le Dieci Giornate che meritarono a Brescia il titolo di Leonessa d’Italia – ha attraversato un’epoca di profonde trasformazioni – fra Rivoluzione francese, dominazione napoleonica, Restaurazione, primo Risorgimento – con l’originalità e la novità del suo carisma. «E in questo non è stato un isolato: in quegli anni e per tutto l’800, fino all’inizio del ’900, l’Italia, soprattutto al nord, vede una fioritura di santi sociali come Maddalena di Canossa, Antonio Rosmini, Leonardo Murialdo, Giovanni Bosco, Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa – riprende De Giorgi –. Missionarietà e carità sociale: ecco cosa li accomuna. Santità sociale significa vivere il Vangelo non chiusi nel chiostro ma nelle strade della città, nelle periferie, nelle campagne. I quattro ambiti di intervento principali sono i poveri, le donne, le persone disabili, la missione ad gentes Rosmini dà fondamento teologico ad una nuova visione della carità che si ritrova nell’esperienza di tutti i santi sociali: non ci sono solo le opere di misericordia corporale e spirituale, c’è anche la "carità intellettuale", l’educazione come forma ed esercizio di carità, che caratterizza la spiritualità italiana otto-novecentesca. Questi uomini e queste donne fondano istituzioni educative e congregazioni che se ne occupino. La loro spiritualità ha una vibrazione e una sensibilità non integralistica, non confessionale, non intransigente, ma misericordiosa, aperta, sorridente. Certo: non era la linea prevalente nella Chiesa italiana d’allora. Ma quegli uomini e quelle donne, poi, la Chiesa li ha proclamati santi. Mentre i duri e gli intransigenti, con le loro crociate contro il mondo moderno, ci appaiono tanto lontani...». Pavoni e gli altri santi sociali sono invece «figure di grandissima attualità per la Chiesa d’oggi, Chiesa povera con i poveri, in uscita, come la vuole papa Francesco. E questo vale ancor più per la Chiesa italiana, chiamata al cammino sinodale».