venerdì 20 marzo 2020
«Cerco di stare accanto ai malati che sono da soli. Ma non dimentico il personale»
Don Mario Cagna

Don Mario Cagna - .

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«È stato per tutti un vero e proprio shock, con una sensazione diffusa di spaesamento data dal fatto di trovarsi a gestire di colpo qualcosa che è arrivato certamente in modo annunciato, ma comunque inaspettato ». Don Mario Cagna presta servizio come cappellano nell’ospedale di Lavagna (diocesi di Chiavari), nel Levante ligure, ormai da diverso tempo. Classe 1965, sacerdote da 24 anni, don Mario in questi giorni sta condividendo da vicino con gli operatori sanitari della Asl 4 l’emergenza legata alla diffusione del Covid–19. Anche nel Tigullio si sono registrati casi di contagio. «In ospedale in questi giorni si è respirato più volte un clima di paura e di ansia, a tratti anche di solitudine – racconta –. Mi sono chiesto più volte come poter stare “vicino” a queste persone senza diventare un reale pericolo per loro».

Da qui le precauzioni che riguardano gli abiti, l’uso appropriato di mascherina e guanti, la disinfezione e il lavaggio delle mani. Questo per rimanere fedeli al desiderio di «essere presenti, ma nello stesso tempo essere prudenti». Il supporto del cappellano ospedaliero in questo fronte di emergenza è anche rivolto a tutto il personale sanitario «che sta vivendo questi giorni con preoccupazione, ma non con panico». «Ho messo in ogni reparto un foglio con il mio numero di telefono per potermi contattare e avere un colloquio in piena sicurezza, con la possibilità di accostarsi ai Sacramenti – prosegue il sacerdote –. È un modo per dire a tutti che “ci sono”, che per qualsiasi cosa possono contare su di me. Nessuno di noi è del tutto preparato ad affrontare questa emergenza, cerchiamo di fare un passo alla volta con un discernimento continuo e con responsabilità».

E in una situazione nella quale domina la paura di un contatto che può potenzialmente trasformarsi in contagio, alimentando nervosismo e tensione, c’è un altro tipo di “contatto” che don Mario offre a chi si rivolge a lui per avere una parola in questo tempo di difficoltà. «Credo che vivere questi giorni come un’esperienza di amorevolezza sia la più grande testimonianza che possiamo dare – racconta –. Partire da un sorriso, da una gentilezza, da una parola detta in modo diverso. Sto vedendo una “amorevolezza professionale” da parte di tutto il personale impegnato ai vari livelli, anche con grande fatica. La preghiera che ogni giorno faccio al Signore è quella di sostenerci nell’attraversare questa prova proprio con amorevolezza. Come Gesù, che ha reso la Croce un’esperienza di amore, di dono e di sensatezza».

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