Don Gastone Liut - .
«Noi, comunità atipica, siamo la Chiesa di Gesù, nata dalla sua morte e risurrezione. L’abisso della notte si è trasformato in un abisso di grazia». Don Gastone Liut aspettava il 60° anniversario del Vajont per ripetere ciò che disse alla sua gente di ex sfollati, in occasione del 50°, alla presenza, tra gli altri, del vescovo Giuseppe Pellegrini. Il Vajont, aggiunse allora, «strapiomba ogni giorno nell’invaso della convivenza sociale», nell’ingiustizia, ad esempio, di chi «trova la morte nel fondo di quel nostro invaso che è il Mediterraneo». Il Vajont come metafora di tanti mali e di tanti beni, perché – assicurava sempre don Gastone – «Dio si schiera sempre dalla parte della vittime innocenti».
È toccato proprio al vescovo di Concordia-Pordenone, Pellegrini, annunciare mercoledì la morte di don Gastone Liut, prossimo alla soglia dei 90 anni. «Lo ricordiamo nel suo prezioso ministero per le comunità di Visinale, Erto, Claut, e soprattutto Vajont, dove ha accompagnato la rinascita del paese sconvolto dalla tragedia». Ricoverato per malattia nella casa diocesana del clero a San Vito al Tagliamento, era atteso ancora una volta dalla sua comunità di sopravvissuti del Vajont per continuare un’esperienza pastorale innovativa: una “Nuova Immagine di Parrocchia” costituitasi nel 1971, quindi dopo anni di profuganza, ai piedi delle prime montagne friulane. Tempi durissimi quando accadde la tragedia, 2 mila morti, la notte del 9 ottobre 1963. Don Gastone era parroco di Erto e Casso soltanto da 3 mesi. Come accompagnare tanta sofferenza? In quelle condizioni impossibili, con l’aiuto del Movimento per un Mondo Migliore, e in particolare grazie all'amicizia con padre Jouan Bautista Cappellaro, don Liut sperimentò con tenacia una nuova modalità di pastorale organica, partecipativa ed inclusiva.
Fondata sulla spiritualità di comunione, dal suo sviluppo nacque il Progetto diocesano di Rinnovamento ed Evangelizzazione, un modo di essere Chiesa oggi applicato in tutto il mondo, in modo particolare in America Latina. Al processo del Vajont, che si è svolto a L'Aquila, don Gastone è stato tra i testimoni principali. «Circa la situazione di pericolo preesistente al disastro, posso testimoniare che nel comune di Erto Casso vi era uno stato d'allarme dovuto a fenomeni sismici, ripetutamente avvertiti, e segnalati tempestivamente. L'autorità, a mio avviso, avrebbe dovuto intervenire; non lo ha fatto mai direttamente, o lo ha fatto per interposte persone, e quindi nelle misure prese c'è stata molta imprudenza», dichiarò in aula il sacerdote. «La sera del 9 ottobre di cinquant’anni fa – raccontò don Gastone nel 2013 al nostro giornale - mi ero appena coricato, ero girato su un fianco rivolto verso il lago quando ci fu un movimento sussultorio: ho visto aprirsi la parete e richiudersi subito dopo. Ci rifugiammo a tentoni sulla montagna, aspettammo nel buio sentendo le urla che salivano. Solo alla luce dell’alba vedemmo quell’apocalisse. Nelle acque del lago galleggiavano una bambola smembrata e i relitti di due crocefissi in legno, mutilati...».
“Il parroco del Vajont”, è sempre stato chiamato don Gastone. «Un prete infaticabile e sempre vicino alla gente – così lo piangono nella sua Vajont -, non si è mai tirato indietro di fronte alle sfide di far crescere una comunità trasportata in pianura e inserita da un giorno all'altro in un contesto diverso da quello di origine: fu un riferimento nei mesi del dramma, ma anche nei decenni successivi lontani dalla nostra terra». Ha combattuto strenuamente e a lungo contro la piaga dell'alcolismo e delle dipendenze, creando uno dei primi centri di ascolto del Friuli, aiutato dalle sue storiche collaboratrici, suor Leonia e suor Cecilia. «Un coraggioso uomo di fede che si è sempre speso in prima persona per i diritti delle genti del Vajont» lo ha definito Massimiliano Fedriga, presidente della Regione. I funerali domani alle 10 a Vajont.