giovedì 23 giugno 2011
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Un fenomeno «ecclesiale» davanti al quale «sia i teologi che i fedeli sono chiamati a non rimanere passivi» perché la decisione finale sull’autenticità delle presunte apparizioni sia il frutto di un «discernimento condiviso da tutti». Per padre Stefano De Fiores, mariologo della Pontificia facoltà teologica Marianum, ciò che da 30 anni accade a Medjugorje ha assunto un’importanza tale da non poter lasciare indifferenti. Testimonianza ne è il fatto che il Papa ha voluto «avocare a sé, con l’aiuto di una Commissione internazionale, la decisione ufficiale sulla veridicità delle "visioni" e dei messaggi».Perché tutta questa importanza?Medjugorje oggi è una meta di pellegrinaggi e anche un punto di riferimento per molti in tutto il mondo. Numerose persone lì hanno sperimentato qualcosa che ha toccato e cambiato la loro vita: davanti ai tanti che hanno vissuto un’esperienza positiva di conversione, di revisione di vita e di crescita nella fede tutti i ragionamenti vanno sospesi, perché non si può negare l’esperienza. Di tutto questo non si può che ringraziare il Signore.Una Commissione è al lavoro sull’autenticità delle apparizioni mariane: quali i criteri che si usano in questo casi?Nella verifica di casi come questo il primo punto riguarda la credibilità dei «veggenti». A Medjugorje i medici e gli esami scientifici hanno escluso che si tratti di persone allucinate o malate. Ma anche se la scienza non ci avesse detto niente riguardo a questo mi pare che il loro grado di credibilità si esprima bene nel modo in cui conducono la loro vita: sono persone normali, padri e madri di famiglia, che danno una testimonianza semplice di vita cristiana. E gli altri criteri?Il secondo riguarda il contenuto dei messaggi : in nessuno di essi si è trovato qualcosa che sia contro l’ortodossia della Chiesa. Anzi essi appaiono pienamente evangelici: invitano alla preghiera, al digiuno, alla pace, alla concordia, alla fraternità. E sono evangelici anche nello stile poiché lasciano sempre spazio alla responsabilità e alla libertà personale. Il terzo criterio, infine, sono i frutti. Chi si reca a Medjugorje rimane colpito dal clima di preghiera e di intima comunione con Dio. Certo esistono anche incomprensioni attorno al fenomeno, ma queste non possiamo addebitarle ai «veggenti» o alle «apparizioni», perché dipendono piuttosto dalla situazione storica, ambientale e pastorale del luogo.Si delinea quindi un riconoscimento positivo ufficiale?La decisione finale spetterà al Papa. La Chiesa nel 1991 con la dichiarazione di Zara si pronunciò in modo «attendista», sospendendo cioè il giudizio. Certo quel documento chiedeva ai vescovi di non organizzare pellegrinaggi per non dare l’impressione che la Chiesa fosse già giunta a una decisione. Molti vescovi, però, vi si recano in forma privata perché sentono l’esigenza di non rimanere passivi davanti al fenomeno: anche la loro esperienza contribuirà al discernimento che porterà alla valutazione ufficiale.Che significato dare ai dieci messaggi che la Vergine avrebbe affidato ai presunti veggenti?Innanzitutto va ricordato che la Rivelazione si è conclusa con Cristo e che quindi ogni messaggio successivo, anche quelli mariani, non fanno altro che riprendere quello che è già stato rivelato dal Figlio di Dio. Per dirla con san Tommaso, allora, questi messaggi sono forme della profezia della Chiesa, che è fondata sugli Apostoli e sui profeti. I messaggi segreti appartengono al genere «apocalittico» e con essi in realtà Maria vuole solo alimentare la speranza. L’autentico messaggio dell’Apocalisse, infatti, è che le forze del bene trionferanno su quelle del male. Ma il cammino del bene è continuamente osteggiato dal male e quindi il richiamo della Madonna è fondamentalmente a una continua vigilanza, perché la Chiesa non ceda ai compromessi, non si addormenti aspettando passivamente una vittoria ultima del bene.È per questo che da Medjugorje l’invito più pressante è quello alla preghiera?Certo, non basta l’obbedienza a Dio ma è necessario il dialogo con lui per vivere da figli. E la preghiera non deve essere un grido nelle necessità ma un sistema di vita che ci colloca nella relazione con il Padre.
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