Stringe forte le mani, trattenendole tra le sue. Scambia battute e sorride, o ride, a seconda. Spesso davvero di cuore. In volo per Rio de Janeiro, al suo primo viaggio internazionale, papa Francesco ha voluto incontrare i giornalisti al seguito e salutarli uno per uno. Ma no, niente intervista. «Davvero, io non do interviste perché, non so, non posso, è così. Per me è un poco faticoso, ma ringrazio questa compagnia». Nessuna domanda, così. Qualcosa, però – e che cosa – prima di passare, in piedi, quasi quaranta minuti a stringere mani, a sorridere, o a ridere, ha voluto dirlo a «questa compagnia» alla quale ha chiesto «un aiuto» per far arrivare ovunque la sua voce. Voce che, ieri, nell’ammonire sul fatto che «corriamo il rischio di avere un’intera generazione che non avrà mai trovato un lavoro», ha chiesto sostegno per contrastare quella «cultura dello scarto» che investe anziani e giovani, e opporle, al contrario, la «cultura dell’inclusione, cultura dell’incontro». Per «fare uno sforzo per portare tutti alla società; e questo – ha spiegato – è un po’ il senso che io voglio dare a questa visita ai giovani, ai giovani nella società».È stato un discorso breve, bellissimo, quello che papa Francesco ha affidato ai giornalisti che ieri hanno condiviso lo stesso aereo con destinazione Brasile che, quindici minuti prima delle 9, puntualissimo, è decollato da Fiumicino. Discorso in cui ha legato insieme senso e prospettiva di questo incredibile tuffo in mezzo ai ragazzi a cui si accinge, «proprio – ha detto – per trovare i giovani: ma i giovani non isolati dalla propria vita, io vorrei trovarli nel tessuto sociale, nella società, perché quando noi isoliamo i giovani, facciamo un’ingiustizia togliamo loro l’appartenenza».È la Gmg secondo papa Bergoglio. Non «altra» o «diversa» da quelle dei suoi predecessori Wojtyla e Ratzinger, ma che si mette sulla strada muovendo da quella particolare prospettiva che è poi la stessa su cui Francesco insiste ancora e ancora. «Appartenenza – ha ancora ripetuto ieri – a una famiglia, a una patria , a una cultura, a una fede». Ma, per questo, allora, per aiutare questi giovani, «non dobbiamo isolarli, ma soprattutto non isolarli da tutta la società». Perché «loro davvero sono il futuro di un popolo, quello è vero, loro sono il futuro».Loro, certo. «Ma – ha aggiunto subito dopo – non solo loro: loro sono il futuro perché hanno la forza, sono giovani, andranno avanti. Ma anche l’altro estremo della vita, gli anziani, sono il futuro di un popolo», e «un popolo ha futuro se va avanti con tutte e due forze: con i giovani, con la forza, perché lo portano avanti e con gli anziani perché loro danno la saggezza della vita».«Io tante volte – ha osservato ancora Francesco – penso che noi facciamo un’ingiustizia con gli anziani, li lasciamo da parte, come se loro non avessero niente da darci. E loro hanno la saggezza, la saggezza della vita, la saggezza della storia, la saggezza della patria, la saggezza della famiglia e questo noi abbiamo bisogno. E per questo io dico che vado a trovare i giovani, sì, ma nel loro tessuto sociale, principalmente con gli anziani». È vero, ha quindi aggiunto, che «la crisi mondiale non fa cose buone con i giovani; ho letto la settimana scorsa la percentuale dei giovani senza lavoro, pensate che noi corriamo il rischio di avere una generazione che non ha avuto lavoro e dal lavoro viene la dignità della persona, guadagnarsi il pane. I giovani in questo momento sono in crisi e un po’ noi siamo abituati a questa cultura dello scarto, con gli anziani, si fa troppo spesso, ma anche adesso con questi tanti giovani senza lavoro, anche a loro arriva la cultura dello scarto, ma dobbiamo tagliare questa abitudine dello scartare. No, cultura dell’inclusione, cultura dell’incontro, cultura, fare uno sforzo per portare tutti alla società e questo un po’ il senso che io voglio dare a questa visita ai giovani, ai giovani nella società».