A metà degli anni Cinquanta l’allora Birmania (oggi Myanmar) era tutto tranne che un posto tranquillo. Come ha detto di recente il cardinale di Yangon, il salesiano Charles Bo, era sì «il Paese più ricco del Sud-Est asiatico e vantava le migliori università ». Ma tensioni e conflitti scuotevano fortemente il Paese, indipendente da pochi anni (1948) e abitato da ben 8 tribù principali, suddivise, a loro volta in ben 135 sotto-tribù. In questo scenario complesso è maturato il martirio di padre Alfredo Cremonesi, del Pontificio istituto missioni estere (Pime), ucciso in odium fidei con un colpo di pistola in volto, il 7 febbraio 1953 nel villaggio di Donoku. Padre Alfredo era a servizio dei cariani, una popolazione tribale a cui ha dedicato l’intera esistenza e per la quale si è speso fino all’ultimo, letteralmente: il giorno dell’uccisione, infatti, era stato invitato a ritirarsi da un posto molto pericoloso, ma aveva scelto di rimanervi, per stare con la sua gente. Il vescovo di Crema, Daniele Gianotti, presentando il programma delle celebrazioni, ha dichiarato: «Padre Alfredo Cremonesi è stato riconosciuto come modello di vita cristiana, in questo caso missionaria.
Ha sigillato la sua vita, spesa per gli altri, con il martirio». E oggi sarà proclamato beato durante la Messa presieduta dal cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, alle 15.30 nella Cattedrale di Crema. La causa di beatificazione è stata sostenuta e condotta dalla diocesi di Crema con il sostegno di quella birmana di Taungngu. A gioire per la beatificazione di padre Cremonesi non è solo la sua diocesi di origine (il missionario era nato a Ripalta Guerina nel 1902 e giovanissimo era entrato nel Seminario diocesano), ma l’Istituto di appartenenza.
Il Pime, infatti, con questa nuova beatificazione, rinsalda ulteriormente i suoi legami con la Chiesa birmana, nella quale nel corso di oltre un secolo e mezzo di operoso apostolato ha istituito ben 6 delle 16 diocesi del Paese. Il superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca, formula un auspicio: «Spero che la vita di padre Alfredo sia di esempio, in questo mese straordinario dedicato alla missione, per molti giovani che vogliono dedicare la vita, non a se stessi, ma agli altri. La missione di padre Alfredo, coronata dal suo martirio, possa essere di sprone per tante altre persone che, come lui, hanno amato la missione fino agli estremi confini della Terra». Se c’è un motivo per il quale la figura di padre Alfredo risulta attuale e interessante anche oggi è proprio l’entusiasmo che lo connotava. I suoi confratelli lo chiamavano «moto perpetuo», a motivo di tale zelo.
Era uno capace anche di sognare in grande padre Cremonesi: come ha riportato la rivista Mondo e Missione, in una lettera al beato padre Paolo Manna, vergata nel lontano 1926, «racconta di aver chiesto al direttore generale della Fiat in regalo un aeroplano “prospettandogli gli immensi vantaggi reclamistici di così inaudita generosità”».
E pensare che c’è stato un momento in cui la possibilità di diventare missionario sembrava, come accaduto per papa Francesco da giovane, che gli fosse preclusa per motivi di salute. Nel caso di padre Cremonesi a colpirlo fu una grave malattia, nel corso della quale trovò consolazione in santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni. Una volta guarito la sua gioia si trasformò in desiderio bruciante di predicare il Vangelo a ogni creatura. «Vorrei essere già prete – scriveva nel 1922 – e aver mille bocche per predicare giorno e notte, vorrei avere mille mani per mettere in piedi tanti giornali sui quali gridare la novella buona che rigenera e risana». Un’urgenza missionaria che non può non scuotere anche oggi.