Sono le prime apparizioni mariane riconosciute dalla Chiesa in Africa. Tra il 28 novembre 1981 e lo stesso giorno del 1989, nel villaggio di Kibeho, nel Ruanda meridionale, la Vergine apparve a tre studentesse di un collegio di suore affidando loro il compito di aiutare l’umanità a riscoprire «il Vangelo dimenticato » e chiedendo per questo ai fedeli penitenze, digiuni, sacrifici. All’evento soprannaturale, del quale è stato testimone diretto, deve la sua vocazione don Edouard Sinayobye, che ha fatto di quell’esperienza una scelta di vita (ora svolge il suo ministero in una parrocchia a pochi chilometri dal villaggio, nel distretto di Nyaruguru). Il sacerdote ha scritto anche un libro,
Io sono la Madre del Verbo. Nostra Signora di Kibeho risveglio per i nostri tempi (edizioni Ares), che ripercorre gli avvenimenti di 34 anni fa e racconta l’impatto che hanno avuto in Ruanda e non solo. «Grazie a Kibeho la Chiesa locale ha preso coscienza delle sue fragilità e ha vissuto un risveglio spirituale – commenta don Sinayobye – rispetto al quale si sentono interpellati vescovi, preti, religiosi e laici. La presa di coscienza delle proprie debolezze è stata benefica perché ha spinto tanti a passare da un culto di facciata a una fede più radicata nel Vangelo». L’aspetto più sconvolgente delle apparizioni, per la gente del posto, è che furono drammaticamente profetiche, avvennero infatti cinque anni prima del genocidio del 1994: un milione di morti, con vittime in larghissima maggioranza dell’etnia Tutsi, più di un decimo dell’intera popolazione di allora. La Madonna mostrò alle veggenti Nathalie Mukamazimpaka, Marie Claire Mukangango e Alphonsine Mumureke fiumi di sangue che attraversavano il Paese, violenze, cumuli di cadaveri con teste mozzate. Come a Fatima anche lì la Signora ha ripetuto all’umanità che bisogna pregare per allontanare il male. Dopo le dovute verifiche, durate 20 anni, il 29 giugno del 2001 la Chiesa ha riconosciuto ufficialmente le apparizioni e nel luogo delle visioni è sorto nel 2003 il Santuario di Nostra Signora dei Dolori. I pastori del Ruanda riconoscono che i cristiani non hanno dato ascolto agli appelli della Madonna: i frutti spirituali si sono moltiplicati solo dopo la tragedia e la presa di coscienza di quello quello che veramente voleva la Vergine. Per don Sinayobye tra questi frutti sono da annoverare «la riconciliazione di un popolo passato per un genocidio; una fede più viva ed espressa con entusiasmo; nuove iniziative di carità e un rinnovato senso di responsabilità nelle comunità parrocchiali; una preghiera più personale. Il vescovo di Gikongoro, Misago Augustin, vorrebbe che Kibeho diventasse sempre di più un luogo che raduna tutti i cercatori di Dio...». I pellegrini al Santuario di Nostra Signora dei Dolori sono ancora relativamente pochi, dice sempre don Sinayobye, anche se arrivano da tutto il mondo, soprattutto dall’America. «Nella mia permanenza a Roma – dice il sacerdote – mi sono reso conto che Kibeho è conosciuto ma il messaggio della Madonna no. Eppure è denso e profondo, veramente attuale per i bisogni spirituali del mondo di oggi. Anche in Occidente dovrebbe trovare spazio e attenzione». Le apparizioni hanno spinto i cattolici ruandesi (la metà circa degli otto milioni di abitanti che vivono nello Stato dell’Africa orientale) a riappropriarsi della propria fede, ad aprirsi all’esterno, a coltivare carismi e opere sociali. «I ruandesi, così colpiti da quel massacro – conclude don Edouard – grazie a Kibeho hanno imparato a portare cristianamente la pesantissima croce della sofferenza, hanno capito che Dio li ama; e stanno anche imparando, seguendo il messaggio della Vergine, a vivere il mistero della sofferenza non come una negatività ma come un modo di imitare Cristo. Grazie alla Nostra Signora del Dolore l’indicibile massacro che ha segnato il nostro popolo trova una luce nuova, quella della risurrezione».