Martedì 26 marzo Telenova News e Telesubalpina Piemonte hanno mandato in onda la trasmissione Una speranza per tutti, con l’intervista rilasciata dall’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, all’inviato di Avvenire Marina Corradi.
Proponiamo qui una sintesi scritta.
«La Pasqua ci introduce a questa esperienza di misericordia, di paternità che vince il nostro peccato e ci ri-spalanca le porte di casa attraverso Cristo». È un invito alla speranza, quello che il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, rivolge ai fedeli ambrosiani all’inizio della Settimana Santa. Con lo sguardo aperto alla Pasqua, Scola riflette sull’inevitabile esperienza umana del dolore e suggerisce: «Prendiamo in mano il Crocefisso: sentiremo nascere in noi la speranza contro ogni speranza».
È la Pasqua dell’Anno della Fede. L’appello di Benedetto XVI era: «Ripartiamo da Cristo». Ma come si fa a ripartire da Cristo? Perché a volte c’è come un diaframma fra questo nostro desiderio e la vita reale.
Eminenza, ci dia un’indicazione operativa per ripartire da Cristo, in questa Settimana Santa...
La prima cosa è tenere il cuore aperto, perché l’amore di Gesù ci sorprende sempre. E lo fa in mille modi, attraverso le circostanze. Può essere la domanda di un figlio, può essere una notizia triste, o lieta. Dobbiamo essere molto attenti a ciò che ci accade: perché dietro alle circostanze c’è una mano potente, la mano di un Dio che ha fatto una scelta inimmaginabile, ha scelto di aver bisogno degli uomini. Se appena siamo minimamente sensibili possiamo riconoscere la sua mano. Come una radice. Ecco, bisogna sintonizzarsi con questa radice, stando molto attenti alla realtà tutta.
Papa Francesco, nelle sue prime parole, ha messo un forte accento sulla misericordia. Che cosa fa, la misericordia di Dio, del nostro peccato?
La misericordia è l’amore di un padre che è padre sempre e non viene mai meno, qualunque sia la situazione in cui tu ti sei messo. Un padre che c’è sempre. La Pasqua ci introduce a questa esperienza di misericordia, di paternità che vince il nostro peccato e ci ri-spalanca le porte di casa attraverso Cristo, che è la misericordia in atto.
Addirittura, dice Agostino, la misericordia sa trarre un bene dal nostro peccato...
È la più potente provocazione al dolore per il peccato. Quand’ero bambino, a volte rubavo la cioccolata dalla credenza. Un giorno, voltandomi mentre lo prendevo, vidi lo sguardo di mia madre su di me. C’era in quello sguardo una tristezza amante, per cui io smisi di rubare il cioccolato. Quello sguardo che mi cambiò, era uno sguardo di misericordia.
Papa Francesco ha detto anche: quando camminiamo senza la croce non siamo discepoli di Cristo. Ma perché la croce, il dolore, tocca alla fine ogni uomo?
Abbiamo nel cuore un desiderio di felicità, di compimento, che però non siamo capaci di realizzare da soli. E quindi non c’è possibilità di essere felici senza affrontare questo aspetto d’ombra che è presente nella vita di tutti, e che deriva dal nostro limite. Aspetto d’ombra che è reso più pesante dal nostro peccato; e che è la strada che ci educa lentamente a uscire da noi stessi. Allora la croce diventa una dimensione inevitabile per poter imparare il dono più prezioso della vita, che è l’amore.
Ma cosa si fa, davanti al dolore? Perché ci sta lì, come un inciampo sul cuore...
Occorre abbandonarsi alla mano di Dio. Io ho visto malati terminali dentro un atteggiamento di abbandono assolutamente inconcepibile dal puro punto di vista umano. Ho visto uomini abbandonarsi e guardare al Crocifisso. Io suggerisco a tutti, soprattutto nei giorni del Triduo Pasquale che ci attende, di prendere proprio fisicamente in mano il Crocifisso. Perché il Crocifisso non ha fatto teoria sulla sofferenza, l’ha presa su di sé e l’ha portata fino in fondo. Di fronte alle prove più grandi, quando le nostre parole si spengono, quando si può solo tacere, possiamo solo contemplare l’Uomo della Croce. Ma l’ambito in cui guardare al Crocifisso è una compagnia di persone che ti vogliono bene.
Dobbiamo cercarla, volerla, dunque, questa compagnia?
Quando Gesù, ormai sfigurato sulla Croce, dice alla Madonna: «Donna, ecco tuo figlio», e a Giovanni: «Ecco tua Madre», allora ecco, sotto la Croce nasce una nuova parentela. Più potente di quella della carne e del sangue: questo è il cristianesimo, questa deve essere la Chiesa. Se dentro questa compagnia prenderemo in mano il Crocifisso e guarderemo Gesù, sentiremo nascere in noi la speranza contro ogni speranza.
La Croce di Cristo, dunque, è la speranza. Ma al di fuori di questo, quale speranza vera resta, quale speranza non è illusione?
Cristo è venuto per tutti. E la sua speranza è per tutti. Può prendere poi le mille forme che la libertà umana plasma, perché uno può non riuscire a credere, può avere delle obiezioni, può essere nato dentro un’altra religione. Il punto è che non cessi mai di tenere aperto anche solo di un millimetro... Uno spiraglio. Uno spiraglio per accogliere la realtà: come quando d’estate, sotto il solleone, si tengono tutte le porte e le finestre chiuse e poi, se si apre anche solo di un millimetro la porta, ecco una lama di luce... Che entra. Io sto alla tua porta e busso, dice l’Apocalisse.
E bussa sempre...
E bussa sempre. Papa Francesco, al suo primo Angelus, ha detto una cosa bellissima: «Il Signore non si stanca mai di usare misericordia». Cioè non si stanca mai di venirci incontro. La Pasqua è realmente questo, è realmente una speranza per tutti. È “la” speranza, in assoluto.