sabato 30 luglio 2011
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«Sei un missionario? Non dovresti essere in Africa?». La prima reazione è spesso di stupore. Com’è possibile che questo ragazzo, poco più grande di me, dedichi due anni della sua vita a parlare del Vangelo a universitari già abbastanza stressati e confusi dalla vita accademica e sociale del campus? Con un po’ di insistenza, però, le barriere di solito crollano e i giovani missionari di Focus riescono ad arrivare al cuore del loro messaggio: Dio ti vuole bene e vuole il meglio per la tua vita. Anche al college.«Quello che conquista i ragazzi è l’interesse autentico che abbiamo per loro – spiega Chris Amateis, missionario 29enne di Focus e membro dello staff del campeggio estivo cattolico Camp Wojtyla –, non siamo loro amici solo perché li vogliamo convertire. Cerchiamo la loro amicizia per mostrare loro l’amore di Dio e la forza del Vangelo».È così – cercando, raggiungendo e formando rapporti stretti con gli studenti nei campus universitari americani – che l’organizzazione cattolica Focus da 13 anni si è immersa in una missione di re-evangelizzazione della società americana. Con risultati impressionanti. Il gruppo conta più di 300 aderenti e oltre 270 missionari: neolaureati che dedicano almeno due anni, a tempo pieno, a diffondere la parola di Gesù nelle università, ricevendo solo quanto riescono a raccogliere in donazioni. È presente in 60 università americane, in 28 diversi Stati. Decine di migliaia di studenti partecipano attivamente alle lezioni di catechesi e allo studio della Bibbia organizzate dall’associazione. Da questi sono emerse almeno 250 vocazioni. La scelta dei campus universitari sembrò ovvia a Curtis Martin, docente all’istituto Augustine di Denver, quando negli anni 90 cercava un modo di rispondere all’invito di Giovanni Paolo II di riportare l’amore di Cristo con «nuovi metodi, nuovo ardore e nuove espressioni» nei luoghi già toccati dal Vangelo. Come studente aveva visto l’eccesso di alcool, droga e di sesso nei college. E sapeva che, come era successo a lui, la maggioranza degli studenti cattolici smetteva di andar a Messa una volta allontanatasi dalle proprie famiglie. Martin e sua moglie Michaelann fondarono l’Amicizia degli studenti universitari cattolici, Focus, nel 1998 presso l’università benedettina di Atchison, in Kansas. L’idea era di offrire ai ragazzi una presenza spirituale che li aiutasse a navigare nelle acque burrascose del relativismo morale e della loro nuova indipendenza e li facesse crescere nella fede, mentre crescevano nella conoscenza. Martin era ancora abbastanza giovane, però, da sapere che non doveva concentrarsi su seminari o lezioni, bensì su neolaureati che avvicinassero gli studenti con semplicità e parlassero loro della forza di Dio nella loro vita.Tredici anni dopo, per capire il successo di Focus bisogna vedere i missionari in azione. A Camp Wojtyla, il campeggio sulle Montagne rocciose dove molti missionari passano l’estate lavorando con gruppi di liceali, la giornata comincia presto. Alle sei gli educatori sono tutti in piedi: la maggior parte è raccolta in preghiera individuale al limitare del bosco, mentre gli addetti alla cucina preparano la colazione cantando inni. Poi si buttano nella mischia. «L’importante è essere sempre presenti – spiega Annie Powell, ex missionaria di Focus e fondatrice del campeggio –. Non sai mai quando un ragazzo avrà bisogno di parlarti delle sue paure, o quando una ragazza ti confiderà la tensione delle sue pulsioni sessuali, o quando un’altra vorrà che preghi con lei. È nel dialogo uno a uno che avviene l’evangelizzazione». Nulla è casuale a Camp Wojtyla. Le escursioni a tremila metri d’altezza mettono alla prova la resistenza fisica, la pazienza e la volontà di collaborare dei ragazzi. Le scalate in roccia instillano la fiducia nei loro compagni. «Ma non attiriamo i ragazzi con attività avventurose per poi trascinarli a Messa a fine giornata – aggiunge Scott, marito di Annie, con il secondo figlio in braccio – essere in mezzo alla natura ci aiuta a creare il silenzio necessario ad ascoltare e a sfidare i ragazzi a riesaminare il significato e lo scopo della loro vita». Nei campus dove Focus è attivo durante l’anno accademico, questo sforzo si traduce nell’andare a incontrare gli studenti dove si trovano, dai dormitori ai campi di baseball, e nel mettersi a loro disposizione. «A settembre arriviamo nelle università prima di tutti. Siamo lì quando le matricole scendono dall’auto. Li aiutiamo con i bagagli, spieghiamo dove si trovano le aule, diamo loro il nostro numero. Così costruisci un’amicizia, lentamente», dice John Procopio, studente universitario del New Jersey, che dedica a Focus decine di ore alla settimana.All’inizio i missionari non parlano del Vangelo, ma non nascondono nemmeno di far parte di un’associazione cattolica. «Man mano che l’amicizia si approfondisce – continua John –, li inviti ad eventi organizzati da Focus, da un pizzata con preghiera a un’ora di lettura della Bibbia, e fai loro capire che Focus è un posto sicuro, dove possono abbassare la guardia».E se qualcuno risponde "no, grazie"? Ai missionari dell’organizzazione, che ricevono più di 400 ore di formazione in catechesi, leadership, evangelizzazione e psicologia, viene insegnato a non prendersela e a continuare la relazione, nella speranza di piantare semi che germoglieranno in un secondo tempo. «Certo, non è bello sentirsi respinti – assicura Katie Ouellette, 24 anni –. Ma non puoi forzare nulla. Tu puoi solo creare le circostanze perché lo spirito agisca. E pregare».
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