lunedì 8 aprile 2024
Fratel MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino, membro del Comitato nazionale del Cammino sinodale: «Né proselitismo né egemonia. Chiesa, vai incontro alla sete di bene e felicità di ogni persona»
La chiamata di Zaccheo da parte di Gesù. Particolare di un affresco della Basilica di Sant'Angelo in Formis, Capua

La chiamata di Zaccheo da parte di Gesù. Particolare di un affresco della Basilica di Sant'Angelo in Formis, Capua - foto Siciliani

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«La Chiesa non esiste se non per la missione. Che non significa fare proselitismo, cercare egemonie culturali o pretendere di ridurre il mondo alla Chiesa, ma aiutare gli uomini e le donne – tutti, qualsiasi sia la loro origine, la loro condizione socio-economica, il loro orientamento sessuale – a camminare insieme verso il regno di Dio, anche se non fanno parte della Chiesa visibile, anche se non stanno dentro i nostri “recinti” dogmatico-rituali. Una missione da vivere nello stile della prossimità. E una Chiesa che – fedele alla novità del Concilio Vaticano II – sa che il suo compito principale è mostrare al mondo il volto misericordioso di Dio. Perché è l’amore di Dio che mette in movimento processi e cammini di conversione». Parola di fratel MichaelDavide Semeraro, monaco benedettino, priore dell’abbazia di Novalesa, in Piemonte. Parola presa a nome del Comitato nazionale del Cammino sinodale, del quale è membro designato dalla Presidenza della Cei, per fare il punto su uno dei temi offerti alle diocesi per il discernimento della fase sapienziale: la missione secondo lo stile di prossimità (gli altri quattro temi, lo ricordiamo, sono: il linguaggio e la comunicazione; la formazione alla fede e alla vita; la sinodalità e la corresponsabilità; il cambiamento delle strutture).

In cammino verso la fase profetica

Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia è alla soglia di uno snodo cruciale. La fase sapienziale si avvicina alla conclusione. Le diocesi – operando nello stile del “discernimento ecclesiale”, approfondendo quanto ascoltato e raccolto nella fase narrativa – sono state chiamate a elaborare scelte concrete da presentare poi nella fase profetica e decisionale, in vista della conversione sinodale e missionaria della Chiesa. Ebbene: il cronoprogramma del Cammino prevede che con l’aprile 2024 le diocesi mandino al Comitato le proposte che hanno rilievo per le scelte nazionali: è la chiusura della fase sapienziale diocesana. Quanto raccolto ed elaborato a livello di Comitato nazionale verrà poi inoltrato alla Presidenza Cei in vista dell’Assemblea generale del 20-23 maggio che aprirà la fase profetica.

Stile di prossimità, postura di diaconia

Fra le proposte giunte alla Commissione del Comitato nazionale dedicata alla missione nello stile della prossimità, «vi è un’esperienza virtuosa, una buona pratica attuata dalla diocesi di Fossano – racconta a titolo d’esempio fratel Semeraro –. Mai fare da soli, ma quando si mette in atto una nuova iniziativa culturale o di carità – così hanno deciso alcuni anni fa – chiedersi sempre con chi realizzarla, con quali persone e realtà condividerle, anche se non fanno parte della Chiesa». La questione di fondo: «Vogliamo fare un mondo a nostra misura, al quale annunciare il Vangelo, oppure annunciare il Vangelo al mondo com’è? – fa sintesi il monaco –. La Chiesa, per sua natura, è missionaria. Nella missione si tratta di assumere una postura di diaconia, uno stile di prossimità, perché nessuno si senta escluso dal cammino verso il regno di Dio, del quale la Chiesa è segno. La Chiesa non si identifica e non si riduce alle sue strutture ecclesiastiche. È sacramento di salvezza per tutti. E anche oltre i confini della Chiesa visibile, tutti sono chiamati a partecipare a questo mistero di salvezza, tutti sono parte di questa Chiesa che ha le radici nell’esperienza di Abele, là dove c’è una sofferenza, una speranza, un desiderio di bene, di felicità, di bellezza». Pace, vita, famiglia, cura del creato, dialogo con le culture e le religioni, lotta alle ingiustizie, alcuni degli ambiti da abitare nello stile della prossimità, come ricordano gli “Orientamenti metodologici per il discernimento della fase sapienziale nelle diocesi”.

La Chiesa? Non “gendarmeria” ma luogo di peccatori perdonati

Rinnovare e vivere la missione nello stile della prossimità «significa capire che le categorie dentro-fuori, vicini-lontani, non funzionano più. Chi non sta dentro i nostri “recinti” dogmatico-rituali non chiede di essere compatito o tollerato ma riconosciuto, accolto, accompagnato – scandisce fratel Semeraro –. Penso alle tante persone che per motivi affettivi, di nuove nozze, di orientamento sessuale, rischiano di sentirsi escluse: senza questa postura missionaria non potremo rispondere a molte delle difficoltà che vive la Chiesa in Italia e in Occidente. Lo stile della prossimità non teme la complessità e l’ambiguità. E un vissuto problematico non fa di una persona un problema, se è vero – come ci ricorda papa Francesco – che la Chiesa è luogo di peccatori perdonati che riconoscono in ogni persona un fratello o una sorella in cammino verso il compimento del regno di Dio. Non si tratta di cambiare la dottrina o il catechismo: si tratta di capire che la Chiesa non è una sorta di “gendarmeria” per un mondo da tenere in ordine. Sono gli altri che ci evangelizzano. E ci aiutano a vivere evangelicamente e purificare le nostre tradizioni, perché ogni cosa sia al servizio del Vangelo di Gesù e del regno di Dio. Per la Chiesa, missione significa farsi prossimo a tutti: come ha fatto Gesù e con lo stile di Gesù».

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