La Confessione, il carcere minorile, la Via Crucis. Ovvero l’amore ferito e perdonato, tradito e offeso, rifiutato eppure fonte di vita. Sono i punti cardinali del venerdì brasiliano di papa Francesco. Realtà apparentemente distanti tra loro, in realtà vicinissime, intrecciate a filo doppio, legate insieme fino quasi a fondersi. A unirle, il linguaggio della croce e la misericordia di Dio, che sa curare le ferite, riparare le offese, prendere su di sé ogni nostra colpa, le angosce che ci fanno soffrire, il coraggio che ci manca, gli errori di cui ci vergogniamo persino con noi stessi. «Nessuno può toccare la Croce di Gesù senza lasciarvi qualcosa di sé – ha detto ieri sera il Pontefice – e senza portare qualcosa della Croce di Gesù nella propria vita».È davvero così. Posare gli occhi su quel legno significa vedersi riflessi in uno specchio che ti guarda dentro, come una luce che illumina il buio che non sai o non vuoi combattere. Allo stesso tempo, però, vuol dire ritrovare le chiavi di casa, mettere ordine nel nostro cuore, imparare a leggere gli eventi, belli o brutti, per quel che sono, chiamando bene il bene e male il male.E le nostre colpe sono tante. La prima, la più grave, è aver messo al centro il nostro io dimenticando gli altri, è non vedere lo sguardo del povero che ci vive accanto, è blindarci in quelle sicurezze fasulle che si chiamano benessere, prestigio, potere. Con la sua Croce, avverte Francesco, Gesù percorre le nostre strade per prendere su di sé le nostre paure, con la sua sofferenza si unisce alle vittime della violenza, soprattutto agli innocenti e ai più indifesi. Quelli per cui diciamo "poverino" e poi andiamo oltre, i piccoli che ci commuovono a orologeria, magari a Natale, i dimenticati che trovano spazio nelle cronache solo ad agosto quando non ci sono notizie.Eppure, anche se ci interroga nel profondo e ci inquieta, la Croce di Cristo non condanna, è il segno più rivoluzionario della "mentalità" di Dio, che non allontana ma ascolta, aspetta, ama. È la logica della misericordia divina molto diversa dal perdono dell’uomo, e più grande. Perché il perdono è un gesto, la misericordia un modo d’essere, il perdono cancella le colpe, la misericordia le dimentica, il perdono fa riprendere il cammino, la misericordia ti spinge avanti. La sua scuola ci insegna a vedere nella sofferenza una via d’amore, testimonia che non si può essere cristiani senza accettare la croce, racconta come il più umiliato e sconfitto tra gli uomini abbia saputo vincere la morte. È il grido dell’umanità ferita, il silenzio della persona rassegnata, la disperazione di chi vede attorno a sé solo un’infinita notte da cui non sa uscire. Ma è anche la medicina che salva il malato incurabile, la denuncia che restituisce voce e dignità, la sola luce che resta accesa e dà speranza quando tutti ci hanno abbandonato.Soprattutto, ci ricorda che non c’è croce, piccola o grande della nostra vita che il Signore non condivida con noi. Perché quale che sia la colpa di cui ci siamo macchiati, a casa troveremo sempre chi è pronto ad accoglierci. Un Padre con le braccia aperte, come il Cristo Redentore di Rio.