sabato 11 luglio 2009
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Con l’intervista a Raffaele Bonanni proseguiamo le riflessioni sulla «Caritas in veritate» l’enciclica di Benedetto XVI presentata martedì 7 luglio. Giovedì scorso abbiamo pubblicato il colloquio con il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio «Giustizia e pace».«Il Papa ha tracciato una mappa, ha ricollegato con un filo il percorso che parte dal valore della vita e porta alla libertà, attraverso il dono di sé realizza un nuovo umanesimo del lavoro e dell’economia, afferma la giustizia sociale e torna così a garantire all’uomo maggiore libertà e dignità della vita». Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, riflette così sulla Caritas in veritate, enciclica che «abbiamo atteso con ansia e che oggi ci chiama a una maggiore responsabilità».L’enciclica descrive con toni assai preoccupati la situazione dei lavoratori nel mondo, ponendo in evidenza in particolare la «riduzione delle reti di sicurezza». Vi riconoscete in questo allarme?Prima di noi lo dicono i numeri della crisi. I 50 milioni di disoccupati previsti nell’area Ocse, il vero e proprio disastro sociale che si registra fuori dal perimetro dei Paesi occidentali, dove il lavoro non gode neppure di protezioni minime. La recessione ha lasciato sul lastrico milioni di famiglie e peggiorato la vita di coloro che, pur di conservare un’occupazione, sono costretti ad accettare condizioni di sfruttamento.Il Papa chiama il sindacato ad ampliare il proprio impegno, in particolare in una dimensione internazionale. Siete pronti a farlo?Lo stiamo già facendo. Quest’anno siamo stati prima a Washington, poi a Londra, infine al G8, e in futuro andremo anche a Pittsburgh, per far sentire la voce dei lavoratori. Non solo in difesa dell’occupazione ma per rivendicare un cambio radicale nel governo dell’economia. Chiedendo regole per i mercati e rispetto delle tutele minime per i lavoratori in tutto il mondo. Banca mondiale e Fondo monetario devono subordinare i loro interventi alla verifica del rispetto di queste condizioni minime.La mobilità del lavoro, la sua trasformazione, hanno portato effetti negativi, dice l’enciclica. Ci sono stati eccessi?Il lavoro ha progressivamente perso centralità e valore quanto più la finanza assicurava enormi (per quanto poi fallaci) guadagni. Cosa conta il lavoro di un operaio, il suo trasformare con le mani un oggetto in un altro se il plusvalore che determina è cento, mille, un milione di volte inferiore al risultato di uno scambio azionario, alla scommessa di qualche derivato? E quindi non solo finiva per perdere valore l’operaio, ma senza accorgerci abbiamo distrutto anche la voglia di progettare, di fare, di usare l’intelligenza e il lavoro per creare qualcosa di nuovo. Il declino nasce anche da questo e non è un semplice deteriorarsi del quadro economico. Alla fine è una svalutazione della persona umana, che perde la sua centralità. Perciò ora è prioritario tornare a favorire uno sviluppo basato sulla produzione, su ciò che ogni popolo può dare di meglio, frutto della propria intelligenza, più che di un apparato di mercato eterodiretto.Ma anche il sindacato e le forze politiche hanno probabilmente le loro responsabilità in questo processo. Anche voi siete stati influenzati dal pensiero liberista globale dominante...È una responsabilità che grava soprattutto sui media che da 20 anni a questa parte hanno propagandato un pensiero unico suggerito da poteri tanto forti quanto irresponsabili. Gli stessi che sostenevano e sostengono la concentrazione dei poteri, i vari presidenzialismi, la mortificazione della forma partito, della rappresentanza dei corpi intermedi, in sostanza di tutto ciò che invera una democrazia partecipata dal basso. L’individualismo, il puntare solo sul singolo e sulla sua efficienza come valore assoluto, al fondo, è funzionale alla concentrazione del potere in mano a pochi.E invece l’enciclica del Papa chiama tutti a cambiare – l’impresa, i manager, i sindacati – indicando qualcosa di apparentemente contraddittorio per le logiche economiche: la carità, la logica del dono. Come si declina questa logica nuova in un ambito come quello del lavoro, tradizionale luogo del conflitto sociale?Lo sviluppo sociale che viene indicato come modello nell’enciclica esalta la responsabilità, ma anche il potere del lavoratore. Egli non cerca solo di difendere la propria dignità e di guadagnarsi un salario, ma attraverso l’uso della sua libertà "dona" qualcosa in più che va ad arricchire non tanto l’impresa in sé quanto la società nel suo complesso, potremmo dire che crea "plusvalore sociale". Facendo bene il proprio mestiere, in una dimensione maggiormente cooperativa, di partecipazione, di corresponsabilità e non di antagonismo, contribuisce a realizzare quel nuovo umanesimo del lavoro e della società che il Papa indica. Al contrario, una visione meramente economicistica è destinata a non risolvere mai il problema della giustizia sociale, semmai a spostarne come un pendolo i termini facendo prevalere ora l’uno ora l’altro soggetto dello scambio.Non sarà una visione utopica? Per creare "plusvalore sociale" oltre al dono del singolo occorrerà quantomeno un ambiente aziendale favorevole, un contesto sociale adeguato...Certo. Sono convinto che l’esercizio di una libertà responsabile da parte delle persone abbia un potenziale enorme. Questa energia ha però la necessità di essere prima sostenuta, rendendone consapevoli le persone, e poi incanalata perché possa plasmare in maniera più giusta la società. Perciò vanno ampliati tutti gli spazi di sussidiarietà nel governo della società e soprattutto creati strumenti di democrazia economica.L’enciclica pone come priorità «un lavoro degno per tutti». La piena occupazione, tutelata, è ancora il primo obiettivo del sindacato?Per noi resta la meta principale, necessaria anche per avverare il progresso complessivo dei lavoratori. Ma dobbiamo essere consapevoli che non ci si arriva per "decreto". Vanno create le condizioni per un’economia sana, va ben regolato il mercato. Occorre, come dice appunto l’enciclica, ri-orientare l’attività economica verso un bene comune complessivo.
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