Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi - Ansa
Tanti, troppi, sacerdoti uccisi da Covid-19 in una diocesi, quella di Bergamo, che sta pagando un tributo di vittime altissimo alla pandemia in atto. Lo rivela il vescovo, Francesco Beschi, intervistato da InBluRadio (ASCOLTA L'INTERVISTA). Altri sacerdoti però, aggiunge, stanno migliorando. Mentre nella comunità, che in un primo tempo non si era resa conto della gravità della situazione, crescono la consapevolezza dei comportamenti e il senso di responsabilità nell'evitare le occasioni di contagio. "Bisogna che ognuno possa trovare in se stesso una energia - esorta il vescovo -. Da cristiani siamo convinti che il dono di Dio diventi fonte di una grande energia interiore che nei prossimi giorni e settimane dovremo continuare ad alimentare".
"Dall'indifferenza alla consapevolezza. Resti questo atteggiamento"
“Pur essendo noi molto numerosi il numero dei sacerdoti morti questa settimana e quello di coloro che sono ancora in una situazione particolarmente grave è veramente elevato”.
“A conforto deve dire anche che questa settimana 20 sacerdoti nel giro di qualche giorno sono migliorati notevolmente e altri sono già usciti dall’ospedale. Questo è un segno che ci conforta molto. Stiamo vivendo questa pena condividendola con quella delle nostre comunità insieme al numero dei contagiati, dei malati e un elevato numero di morti. Non siamo separati dalla nostra comunità nemmeno nel passaggio della morte”.
“In questi ultimi 15 giorni ho visto una generosità crescente da parte di tutti. Oggi siamo nelle nostre case e vedo tessere dei legami di vicinanza veramente significativi. Dentro questo orizzonte è emersa la generosità dei sacerdoti con la sofferenza iniziale di non poter più celebrare la messa con i fedeli. Anche oggi, con tutte le dovute precauzioni, siamo vicini alla gente nella consapevolezza che da un verso portiamo Gesù e dall’altro potremmo diventare portatori del virus. Sta crescendo molto la relazione attraverso media e social, adesso è l’unico modo che ci permette di essere vicino a tutti”.
“Bisogna fare attenzione – ha concluso il vescovo di Bergamo a InBlu Radio – perché i tempi saranno ancora lunghi. Siamo passati da una certa indifferenza a una consapevolezza e comprensione reciproca maggiore. Adesso bisogna che questa condivisione si mantenga nelle prossime settimane”.
"Non possiamo dare l'estrema unzione, siano i familiari a benedire"
Sull'Osservatore Romano il vescovo Beschi aggiunge: "Non possiamo nemmeno più dare l'unzione agli infermi: i sacerdoti nelle parrocchie cercano di avvicinare i malati ma c'è la preoccupazione di non portare il virus insieme con il Signore Gesù, quindi c'è anche un po' di prudenza. A questo punto abbiamo detto: ma perché un battezzato non può compiere un segno cristiano su coloro che sono malati? Cominciando da quelli che sono in famiglia, i figli, i nipoti, benedicono i propri nonni, i propri genitori. Compiono così un segno di fede per loro". "La Chiesa - aggiunge - dice che avendo il proposito, poi, di confessarsi sacramentalmente appena possibile, io ricevo il perdono di Dio. Ecco, volevo ricordare ai fedeli questa possibilità".
I sacerdoti in prima linea
Un altro sacerdote ha raccontato la sua esperienza di questi giorni a Bergamo all'AdnKronos: insieme a medici, infermieri e personale parasanitario nelle corsie degli ospedali tra i pazienti di terapia intensiva arrivano anche i sacerdoti per benedire i malati intubati malati di coronavirus. "Muniti di mascherina, cuffia, guanti, camice e para-occhiali - racconta all'Adnkronos don Claudio del Monte, sacerdote della Malpensata - noi sacerdoti giriamo nei reparti come zombie".
I racconti sono descrizioni di situazioni lancinanti: "Ovviamente - dice il sacerdote di Bergamo - non possiamo toccare malati e persone che stanno morendo. Si sta a distanza di un metro senza un contatto diretto. Si recita una preghiera ma così distanti spesso gli anziani intubati non riescono nemmeno a capire che si dice. E non vedono nemmeno il volto del prete avvolto da mascherina col filtro davanti.Chi poi come me ha gli occhiali, e sopra anche un parrocchiali, spesso si appannano e a quel punto non riesci nemmeno a vedere i connotati dei malati".
Tra i malati di Covid-19 non solo anziani. "In terapia intensiva vedo anche 40-50enni ma spesso sono a pancia in giù perché la ventilazione raggiunge alveoli che diversamente non sarebbero raggiunti". Il suo pensiero va anche al personale che nei reparti fa le pulizie e si occupa di cambiare i malati.
Anche don Carlo Nava, sacerdote del Sacro Cuore, ogni giorno conforta malati in quarantena al telefono: "Siamo di fronte a una minaccia, ci rendiamo partecipi di ansie, preoccupazioni, cercando di portare il conforto della fede"