Distinti Ospiti, Cari Amici,
Sono lieto di accogliere a Castel Gandolfo voi rappresentanti del trentaduesimo Congresso Mondiale di Medicina dello Sport mentre, per la prima volta nella vostra storia, tenete il convegno biennale a Roma. Desidero anche ringraziare il dottor Maurizio Casasco per le gentili parole espresse a nome vostro.
In questa occasione è parso opportuno proporvi alcune riflessioni sulla cura degli atleti e di quanti partecipano allo sport. Ho appreso che voi, qui presenti al Congresso, provenite da centodiciassette Paesi e cinque continenti, e la vostra diversità è un segno importante della presenza dell’atletica nelle culture, nelle regioni e nelle diverse circostanze. È anche un’importante indicazione della capacità che hanno lo sport e gli sforzi atletici di unire le persone e i popoli nella ricerca comune di una pacifica eccellenza competitiva. I recenti giochi olimpici e paralimpici a Londra lo hanno mostrato chiaramente. Il richiamo universale e l’importanza dell’atletica e della medicina dello sport sono giustamente riflessi anche dal tema del vostro Congresso di quest’anno, che tratta delle implicazioni a livello mondiale del vostro lavoro, e della sua potenziale possibilità d’ispirare molte persone diverse in tutto il globo.
Come il dottor Casasco ha giustamente sottolineato nel suo discorso, voi, come medici specialisti, riconoscete che il punto di partenza di tutto il vostro lavoro è il singolo atleta che servite. Così come lo sport è qualcosa in più di una semplice competizione; ogni sportivo, uomo e donna, è più di un mero concorrente: possiede una capacità morale e spirituale che deve essere arricchita e approfondita dallo sport e dalla medicina sportiva. Talvolta, però, il successo, la fama, le medaglie e la ricerca del denaro diventano la principale, o addirittura l’unica motivazione per quanti sono coinvolti. Di tanto in tanto è perfino accaduto che la vittoria a tutti i costi abbia preso il posto del vero spirito sportivo e abbia portato all’abuso e all’uso sbagliato dei mezzi di cui la medicina moderna dispone.
Voi, come esperti di medicina dello sport, siete consapevoli di tale tentazione e so che state dibattendo questa importante questione nel vostro Congresso. Lo fate perché certamente anche voi sapete che le persone delle quali vi prendete cura sono individui unici e dotati, a prescindere dalle capacità atletiche, e che sono chiamati alla perfezione morale e spirituale prima che a qualsiasi risultato fisico. Di fatto, nella sua prima Lettera ai Corinzi san Paolo osserva che l’eccellenza spirituale e atletica sono strettamente correlate, ed esorta i credenti ad allenarsi nella vita spirituale. «Però ogni atleta — dice — è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile» (9, 25). È per questo, cari amici, che vi esorto a continuare a tenere presente la dignità di coloro che assistete con il vostro lavoro medico professionale. In tal modo, sarete agenti non solo di guarigione fisica e di eccellenza atletica, ma anche di rigenerazione morale, spirituale e culturale.
Come il Signore stesso si è incarnato e si è fatto uomo, così ogni persona umana è chiamata a rispecchiare perfettamente l’immagine e somiglianza di Dio. Pertanto, prego per voi e per coloro che beneficiano del vostro lavoro, affinché il vostro impegno porti a un apprezzamento sempre più profondo della bellezza, del mistero e del potenziale di ogni persona umana, atletico o di altro genere, fisicamente abile o con disabilità. Possano la vostra professionalità, il vostro consiglio e la vostra amicizia recare beneficio a tutti coloro che siete chiamati a servire! Con queste riflessioni invoco su di voi e su quanti servite le abbondanti benedizioni di Dio. Grazie.