Il 16 novembre di 50 anni fa moriva a Roma a 87 anni il gesuita e biblista tedesco il cardinale Agostino Bea (1881-1968) che fu tra i pincipali estensori della dichiarazione del Concilio Vaticano II “Nostra Aetate”
Gesuita, biblista, cardinale, Agostino Bea. Quando papa Giovanni XXIII aprì le finestre della Chiesa cattolica sul mondo preparandola al vento del Concilio, lui si sforzò a lungo, e con successo, di spalancare la porta della fraternità a tutti, e in particolare a protestanti ed ebrei. Nato nel 1881 a Riedbhoeringen, nel Baden tedesco, a 21 anni è gesuita, a 31 prete. Studi prolungati: filosofia, teologia, filologia classica a Innsbruck, filologia orientale a Berlino.
Si specializza in studi biblici, a 42 anni lo mandano a Roma, professore al Biblico e alla Gregoriana per 30 anni, con viaggi in Giappone all’Università di Tokio. Dal 1930 rettore del Pontificio istituto Biblico, confessore di papa Pio XII dal 1945 al 1958, Consultore di molte Congregazioni vaticane, tra cui il Sant’Offizio. Papa Giovanni, appena eletto, lo chiama e lo fa cardinale, poi lo vuole presidente del Segretariato per l’unità dei cristiani, fino allora molto marginale. Al Concilio lui sarà in prima fila, a lottare per l’unità di tutti i cristiani e per il dialogo con gli ebrei. Sospetti e brontolii. Allora anche solo il dialogo, con protestanti e soprattutto ebrei, pareva uno scandalo, non solo un sogno; quattro secoli di scomuniche con i protestanti, otto con gli ortodossi, venti con gli ebrei: eretici e scismatici quelli, sette dei nemici di Dio e della Chiesa.
L’ecumenismo era quasi solo una brutta parola, e sospetta. E con gli ebrei? Peggio che mai! Nelle preghiere del Venerdì Santo risuonava in tutte le Chiese quel Pro perfidis judaeis, che in latino voleva dire «per gli Ebrei senza fede», ma quel «perfidi» valeva come in italiano. Appena eletto, papa Giovanni cancellò quel testo dalla liturgia e volle che Agostino Bea, fresco cardinale, prendesse contatto con il grande ebraista Jules Isaac, autore di un celebre libro, L’insegnamento del disprezzo. Lui prese sul serio l’incarico e il dialogo si fece stretto. Bea divenne presto il bersaglio di tutte le critiche di quelli che non volevano alcun cambiamento, con ebrei e protestanti, ma non potevano prendersela con il papa in persona, prima Giovanni poi Paolo VI. Fu battaglia aperta, anche in Concilio, ove le accuse risuonavano in latino, ma soprattutto su riviste e giornali in volgare, anche estremo.
Lui fu il bersaglio fisso: traditore, massone, falso cattolico, dilapidatore della fede di Cristo, peggiore di Giuda. Tacque sempre, e rispose con i fatti, e con la pubblicazione di saggi seri, preparati da incontri e studi, con dialoghi prolungati su riviste di alto livello: sempre sottovoce, sempre signorile, sempre imperturbabile. Famoso un articolo scritto nel 1962 per Civiltà Cattolica, con titolo specifico: «Sono gli Ebrei un popolo deicida e maledetto da Dio?» Lui rispondeva che no, e condannava ogni forma di antisemitismo, comunque motivato. Quell’articolo uscì su due riviste, in francese e tedesco: non su Civiltà Cattolica.
Anni di fuoco, per preparare il Concilio, e poi durante e dopo. Inizi difficilissimi: nel settembre 1960, quando lui propose a papa Giovanni, che accettò, la partecipazione di personalità cattoliche alla Terza Assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese, a Nuova Delhi, il Sant’Offizio, per bocca del cardinale Ottaviani, il “carabiniere della fede”, chiese ufficialmente che la cosa avvenisse, sì, ma che gli ecclesiastici prendessero parte ai lavori solo “come giornalisti”. Bea reagì, duramente, e Ottaviani si convinse: un miracolo! Cinque osservatori cattolici parteciparono all’Assemblea. Anni di fuoco: lui in meno di due anni tenne ventisei conferenze pubbliche in tutto il mondo, a nome della Santa Sede. Fu tra i primi, per esempio, a sostenere la validità del Battesimo anche nelle Chiese protestanti, a Roma qualcuno lo chiamò pubblicamente “eretico”.
Fu il primo, forse, a chiedere al Papa che al Concilio, novità inaudita, fossero invitati ufficialmente come osservatori i fratelli delle Chiese protestanti e ortodosse. Vinse un numero enorme di resistenze, dentro e fuori, con un numero enorme di incontri personali. Prima e poi, per il Concilio, il lavorìo sui documenti, in particolare quello sulla Chiesa, poi sulla Parola di Dio, sull’ecumenismo, naturalmente, sul dialogo con gli ebrei e sulla libertà religiosa. Testi, discussioni, litigi, scontri, riscritture, prime votazioni, emendamenti, stesura definitiva, votazioni finali.
Tra l’altro uno schema specifico, sul dialogo con l’ebraismo, fu cancellato del tutto, anche su pressione degli Stati arabi e delle Chiese orientali. Il 13 ottobre 1962, due giorni dopo l’apertura del Concilio, ottenne che papa Giovanni ricevesse ufficialmente gli osservatori delle altre Chiese e comunità cristiane. Un inizio prodigioso, anche grazie al carisma personale del Papa: fiducia, rispetto, amicizia addirittura. Giovanni XXIII però era già malato, e morì il 3 giugno. Il 19, entrando in Conclave, lui disse ai suoi amici: tra due giorni avremo il nuovo Papa, e si chiamerà Paolo VI.
Fu proprio così: Giovanni Battista Montini continua l’impresa dell’unità di tutti i cristiani e, inaudito fino allora, proclama: «Se alcuna colpa abbiamo, ne chiediamo perdono». Seguono il pellegrinaggio in Terra Santa, e l’incontro a Gerusalemme con il patriarca di Costantinopoli Atenagora, e con altri patriarchi. Sul testo relativo agli ebrei, però, è ancora bufera: il 10 settembre 1964 in Giordania le campane di tutte le chiese cattoliche suonano a morto, per protesta contro il testo fraterno, che tuttavia passa. Passa anche il testo sulla “libertà religiosa”: ciascun uomo deve essere libero di accettare o rifiutare liberamente la sua religione, senza costrizione alcuna. Fu l’ultima battaglia in Concilio. Durante i lavori Bea tenne 4 relazioni ufficiali e 19 discorsi a titolo personale. Durante gli anni seguenti ben 80 relazioni in tutto il mondo, 34 conferenze, e 34 grandi interviste sui media.
A fine Concilio ha 84 anni, e dedica gli ultimi tre anni a pubblicazioni e conferenze. Muore il 16 novembre 1968. Arriva il 50° del suo ritorno al Padre… Poi sappiamo com’è andata. Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma e ad Assisi, 1986, e ancora a Gerusalemme, sulla spianata del Tempio, nel 2000, e il grande “mea culpa”, e poi Assisi 24 gennaio 2002. E poi Benedetto XVI, e poi Francesco, fino all’oggi di questa parola assoluta: «Un cristiano non può mai essere antisemita!». Senza Agostino Bea – di cui domani ricorrono esattamente i 50 anni dalla sua scomparsa a 87 anni– gesuita e cardinale del dialogo e della fraternità universale tutto sarebbe stato diverso.