Siciliani
L’umanesimo nasce nel Mediterraneo ed è nel Mediterraneo che deve tornare a fiorire: è questo il senso della relazione con cui lo storico Adriano Roccucci ha avviato i lavori della seconda giornata di “Mediterraneo fronteria di pace”, l’incontro tra i vescovi dell’area mediterranea in corso al Castello Svevo di Bari su iniziativa della Conferenza Episcopale Italiana.
Per Roccucci, professore di Storia contemporanea all’Università Roma Tre, occorre anzitutto ritornare alla dimensione plurale del Mediterraneo, così come è stata ricostruita e analizzata da grandi studiosi quali Fernand Braudel, Andrea Riccardi, Predrag Matvejevic, Franco Cassano e molti altri.
«I disegni del nazionalismo novecentesco – ha osservato Roccucci – hanno inteso ridurre la policromia mediterranea nell’impegno per costruire nuovi Stati omogenei. Il risultato è stato non di eliminare le diversità, ma di separarle e contrapporle». Sono queste le premesse del “cambiamento d’epoca” che oggi investe entrambe le rive del Mediterraneo e che trova espressione nel fenomeno delle migrazioni, a loro volta conseguenza di crisi drammatiche, prima fra tutte la guerra in Siria.
«Il Mediterraneo non ha perso il suo carattere peculiare di ambito di relazioni e interazioni, anche conflittuali», rivendica Roccucci, richiamandosi alle parole pronunciate da papa Francesco a Napoli nel giugno dello scorso anno: «Se noi non capiamo il meticciato, non capiremo mai il Mediterraneo, un mare geograficamente chiuso rispetto agli oceani, ma culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione».
Troppo poco avvertita sulla riva settentrionale del Mediterraneo, questa urgenza è una realtà profetica per le Chiese che, in Medioriente e altrove, offrono una testimonianza spesso dolorosa e non di rado eroica (è stato citato, fra gli altri, il nome di padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria nel 2013). Ma anche il riemergere dell’antisemitismo desta allarme e preoccupazione. Roccucci ripete le parole del cardinale Léon-Étienne Duval, arcivescovo di Algeri tra gli anni Cinquanta e gli Ottanta del secolo scorso: «La chiave della soluzione dei problemi è il dialogo. Il dialogo, cioè, l’attenzione al proprio fratello, lo sforzo di comprensione, l’apertura del cuore». È in questa prospettiva che sono maturate molte iniziative per le relazioni tra cristianesimo e islam, fino al decisivo documento sulla Fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi poco più di un anno fa da papa Francesco e del Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb.
«L’irrilevanza non è il destino dei cristiani – ha ribadito Rocucci –. E non lo è neanche nel Mediterraneo del XXI secolo». Da qui la necessità di un impegno per la pace che è anche, e forse principalmente, «educazione alla pace», che porti ad affrontare con rinnovata consapevolezza la «crisi di umanità» che oggi ci interpella attraverso i volti dei migranti. «Accogliere, proteggere, promuovere e integrare: questa è la risposta che la Chiesa indica – ha ricordato Roccucci – e che occorre tradurre in azioni concrete, in proposte alla società, in una cultura da diffondere».
La strada è la stessa già indicata a suo tempo dal patriarca ecumenico Athenagoras, protagonista dello storico incontro con Paolo VI a Gerusalemme nel 1964: «Tutti i popoli sono buoni. Ognuno merita rispetto e ammirazione. Ho visto soffrire gli uomini. Tutti hanno bisogno di amore. Se sono cattivi, è forse perché non hanno incontrato il vero amore, quello che non spreca parole ma irradia luce e vita».