È la Giornata mondiale della gioventù «di una Chiesa di popolo», che vive la sua fede «con un entusiasmo non superficiale». Una Gmg che ha confermato il grande amore dei giovani per Cristo e il Papa. «Anzi lo ha accresciuto». E che ha declinato nel cuore delle nuove generazioni le parole chiave dell’inizio di pontificato di Francesco. Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, è appena tornato dalla Veglia che ha nuovamente riunito più di un milione e mezzo di ragazzi intorno alla figura del successore di Cristo. E non nasconde la sua emozione. «Sono sicuro – afferma – che questi incontri mondiali lasciano una carica di entusiasmo non fittizio, che anzi porta sempre dei frutti, a partire dai contenuti dei discorsi del Papa».
Che cosa l’ha colpita maggiormente di questi giorni a Rio de Janeiro?Ho potuto constatare la realtà di una ecclesiologia di popolo, tanto cara al Santo Padre e tanto vera. Francesco ci ricorda che la Chiesa non è fatta da singoli gruppi o da fasce d’età, ma è la Chiesa di tutti, dove tutti si ritrovano con le proprie speranze, le propria storia, le proprie tradizioni, per esprimere l’unica fede. E mi piace sottolineare che la Chiesa in Italia ha sempre alimentato questa sua peculiarità. Non c’è infatti la Chiesa dei bambini, dei giovani, degli adulti o dei vecchi, ma la Chiesa delle diverse generazioni e delle diverse tradizioni che vivono armonia e si tramandano di padre in figlio.
C’è una prospettiva, nei discorsi del Papa di questi giorni, che raccomanderebbe in particolare ai giovani?Spero che una volta tornati a casa i giovani rileggano tutto quanto il Papa ha detto. Ma nel discorso della Veglia c’è un riferimento molto sostanzioso al tema dell’ascesi, quando Francesco paragona la vita cristiana all’allenamento degli atleti. Allenamento che li rende forti per affrontare gli ostacoli. È necessario in particolare che i cristiani ritrovino oggi la capacità di stare nell’agone della vita in modo forte e propositivo. Insieme alla grazia di Dio, infatti, c’è bisogno della collaborazione dell’uomo in termini di allenamento spirituale e quindi di ascesi. E questo significa tornare a coltivare le virtù che sono state un po’ dimenticate e che invece fanno parte della vita cristiana. Spero che i ragazzi riflettano molto su questo punto e lo mettano in pratica.
Alcuni sostengono che in questa sua prima Gmg Francesco abbia declinato nel cuore dei giovani le parole chiave del suo Pontificato. È d’accordo?In effetti è così. Ma a Rio è emerso chiaramente come queste parole chiave non possano essere separate. Ad esempio, la parola «cuore» evoca nel linguaggio popolare il mondo dei sentimenti, mentre sulla bocca del Santo Padre indica piuttosto il centro della persona, il punto di raccordo tra intelligenza, pensiero, volontà, amore e, appunto, i sentimenti. Quindi bisogna tenere insieme queste realtà, altrimenti si avrebbe un messaggio distorto e incompleto. Il cuore è il luogo della sintesi della persona, dell’accoglienza della fede e della decisione di essere discepoli del Signore. E l’allenamento è una fatica che comporta anche la croce, perché non c’è cuore cristiano, se non c’è anche la croce, come ci ha detto il Papa fin dalla prima omelia nella Cappella Sistina dopo l’elezione.
Lei ha assistito a più edizioni della Gmg. In che cosa si distinguono i giovani di Rio 2013?I giovani sono sempre generosi e capaci di sacrificio. Vedo che sta crescendo l’amore per Cristo, per la Chiesa e per il Papa in particolare. Mi sembra che stia crescendo perché il contesto sociale del mondo è sempre più frantumato. E quindi sempre meno affidabile. Anziché dare sicurezza, crea motivi di smarrimento, di ansia o addirittura di angoscia. I giovani trovano dunque in Cristo, nella Chiesa e nel Papa un punto di riferimento certo e affidabile.
I giovani italiani sono il gruppo più consistente giunto alla Gmg dagli altri continenti. Come valuta questo dato? È un dovere per noi italiani essere presenti. Noi infatti abbiamo la grazia di avere il Papa vicino, in casa. Gli altri dunque ci guardano con un occhio particolare. Non perché siamo i migliori, ma perché abbiamo questa grazia. Perciò dobbiamo essere ancora più responsabili. Dunque lo ribadisco: è un dovere essere in prima fila in questi appuntamenti, non per apparire i più bravi, ma semplicemente per portare il dono che ci è dato.
Che cosa si porteranno a casa i nostri giovani dalla Gmg di Rio?Parlando con loro, ho colto lo stupore di fronte all’entusiasmo della fede gioiosa professata dai giovani di questo continente. «Noi abbiamo molto di più e a volte siamo più scontenti», mi hanno detto alcuni. E vorrei sottolineare che la gioia della fede di questi popoli è semplice, ma non superficiale. Abbiamo visto qui delle rappresentazioni sceniche di altissimo livello artistico e piene di contenuti. E abbiamo toccato con mano il modo in cui partecipano alla Messa, fanno la Comunione, si rapportano ai vescovi e ai sacerdoti. Non è solo gioioso, ma frutto di una convinzione interiore.
E che cosa lasciano, invece, i nostri giovani?L’aver fatto ore e ore di volo, e quindi di sacrificio, di disagio, pur di non mancare. E questo per amore di Cristo, della Chiesa e del Papa. Ma anche con il desiderio di conoscere dei giovani che hanno la stessa fede, ma con una diversa storia. Penso proprio che i nostri ragazzi torneranno nelle loro comunità con un rinnovato coraggio di annunciare la gioia del Vangelo.
C’è un messaggio per l’Italia che viene da questa Gmg? Sì, ed è che va moltiplicato l’investimento sulle nuove generazioni. A questo proposito spero che il mondo degli adulti a tutti i livelli, politico, economico, occupazionale non abbandoni i giovani del nostro Paese e che gli adulti siano dei punti di riferimento credibili sul piano spirituale, morale e sociale.<+copyright>