Se dovesse trovare una sola parola, una sola frase che tiene insieme questa fase della Chiesa e del Paese, Franco Miano, presidente nazionale Ac, non avrebbe dubbi: «Prima i poveri. È la grande conversione ecclesiale, sociale, culturale, economica e politica che ci attende. Altrimenti, per l’ennesima volta, avremo buttato via l’opportunità di trarre dalle tante crisi attraversate negli ultimi anni il nucleo di un nuovo modo di stare insieme: sobrio, solidale, responsabile. Altrimenti, e lo dico schiettamente, anche il forte apprezzamento verso papa Francesco, sia dentro sia fuori la Chiesa, risulterebbe essere un esercizio di facciata non seguito dai fatti».
Presidente, cerchiamo un filo che unisce la "domenica dei Papi santi" all’Assemblea nazionale che state per celebrare...Forse nella scena dei due Papi l’uno accanto all’altro per celebrare i due Papi santi, si è schiarito in molti il compito della Chiesa nei prossimi anni: una profonda e vera comunione ecclesiale e l’esercizio concreto e non più contestabile del Concilio Vaticano II, specie per la parte riguardante il ruolo dei laici e la cura dell’umanità sofferente. E mi piace pensare che in piazza si sentisse forte anche la presenza di Paolo VI, il Pontefice che ha condotto in porto lo sforzo conciliare, e Giovanni Paolo I, nella cui brevissima stagione abbiamo pregustato la possibilità di una riforma dei cuori e delle strutture. L’Ac è nel cuore di questa dinamica di trasformazione.
Proviamo a tradurre questa «dinamica di trasformazione» in indicazioni ordinarie per le comunità cristiane...Ne propongo una, a mio avviso essenziale: più coraggio nel riorganizzare in modo radicale la vita delle parrocchie intorno ai tempi delle persone in carne ed ossa, in particolare delle famiglie.
L’obiettivo che si è data l’Ac con questa Assemblea è essere "corresponsabili della gioia di vivere". Cosa vuol dire?Da tempo dalle nostre associazioni parrocchiali e diocesane arriva un vero e proprio grido d’allarme: il mal di vivere delle persone, in particolare dei giovani senza occupazione e delle famiglie che hanno perso uno o più redditi da lavoro. Alla luce di ciò che vediamo e tocchiamo, avvertiamo il dovere di impegnarci perché la sofferenza e il disagio materiale non attentino alla vita e alla qualità della vita. Vogliamo contribuire a costruire comunità più forti e solidali che sappiano accompagnare, sostenere, educare e curare. Sono certo che questa umanità vera e non artificiale sarà al centro del Convegno ecclesiale di Firenze del 2015.
Prevale la preoccupazione o la fiducia per la situazione sociale?Dei segnali di fiducia ci sono, ma se diventano un’illusione il trauma sarebbe irreparabile. Il messaggio che mandiamo al Paese è questo: il capitale dell’Italia sono le persone. Se girano i soldi, secondo la dottrina economico-finanziaria imperante, ma le persone sono immobili o peggio in discesa libera verso i margini dell’esistenza, avremo poco da esultare.
È un messaggio anche alla politica?Occuparsi di chi è rimasto indietro oggi coincide con il senso stesso della politica. Confondere questa priorità con altre, vuol dire non aver capito il dolore che sta attraversando il Paese.
Durante l’Assemblea avrà eco anche il dibattito sulle riforme istituzionali...Forse siamo stati tra i primi a denunciare l’incostituzionalità del Porcellum. E oggi, di fronte alla sfida di snellire le istituzioni, non ci poniamo certo sulla linea della conservazione. Auspichiamo tuttavia che le riforme non siano specchietti per le allodole prima del voto. E che compongano, messe insieme, un disegno razionale e condiviso. La democrazia in Italia va resa più efficace, ma va anche rafforzata. Perciò chiediamo che nel cantiere appena aperto entrino anche la lotta serrata alla corruzione e ai conflitti d’interesse. E poi ci sono nodi sui quali si deve fare di più...
Quali in particolare?Ci sta a cuore il ritorno dei cittadini alla partecipazione. Servono perciò norme serie sui partiti, sulla loro trasparenza economica e democrazia interna, sui limiti ai mandati, sulle incompatibilità. Queste norme come associazione le viviamo dalla stagione post-conciliare: è la cura giusta contro la sete di potere, ad ogni livello.
Lei termina in questi giorni i sei anni al vertice dell’associazione. Un bilancio?Lascio un’associazione viva, diffusa in tutte le diocesi d’Italia e in oltre 6mila parrocchie, capace di unire il lavoro educativo per le persone dai 4 ai 100 anni all’impegno specifico a servizio delle Chiese locali e dei territori. Nelle due occasioni in cui ho incontrato papa Francesco, mi ha rivolto un invito in modo pressante: «Siate artefici di una nuova cultura dell’incontro». È un monito che prendiamo sul serio. In tanti, vescovi, sacerdoti e laici, continuano a condividere un sogno grande sull’Ac: che sia sempre più palestra di relazioni esemplari.