Quando ha appreso la notizia delle dimissioni del Papa, è passato dallo sconcerto iniziale a una profonda gratitudine. Tommaso Spinelli, 23 anni, catechista di catecumeni adulti e collaboratore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Roma, nell’ottobre scorso aveva partecipato al Sinodo dei vescovi come il più giovane fra gli uditori. E aveva ricevuto il Catechismo della Chiesa cattolica proprio dalle mani di Benedetto XVI. Come tanti altri suoi coetanei, è rimasto spiazzato dalla sua decisione. «Uno choc per me, ma anche una grande lezione. Come studente di lettere classiche, questo grande Papa è stata una guida e se posso in qualche modo rendergli omaggio ne sono felice», sottolinea. Sicuro che il suo pensiero sia condiviso da molti altri giovani della sua generazione, per i quali questi otto anni di pontificato hanno segnato un segmento importante della vita di fede.Tuttavia, ci tiene a sottolineare Tommaso, «Non solo i credenti hanno provato interiormente il pungolo dell’inquietudine. Praticanti e non, siamo stati costretti a guardarci dentro per capire cos’era quel senso strano che avvertivamo. Perché qualcosa ha vacillato dentro. Qualcosa che la coscienza moderna non permette di accettare: critichiamo il Vaticano, se qualcosa non va ce la prendiamo col Papa, ma tutti noi nel profondo ci sentiamo legati a quel trono che da duemila anni vede passare sopra di sé la storia di Roma e del mondo». Quando la fumata è bianca, fa notare ancora Spinelli, «c’è un’aria diversa in città: coloro che corrono in piazza sono più di coloro che abitualmente vanno a Messa. Ci resta difficile ammetterlo, ma la sede vacante spaventa anche coloro che non sanno cosa sia. Siamo una generazione cresciuta nel relativismo e nella relatività. Nessuno ha più il coraggio di fare una scelta definitiva, ma tutti abbiamo disperatamente bisogno di vedere qualcuno che questa scelta definitiva l’ha fatta. Qualcuno che dia una certezza».Da qualsiasi versante la si osservi, però, la scelta di Benedetto XVI finisce sempre per risultare profetica agli occhi di Tommaso. «Stavolta il Papa ci ha colti alla sprovvista – prosegue –: lo credevamo un uomo del passato e invece si è rivelato più moderno di tutti noi. Il suo silenzio umile ci ha costretto per una volta al silenzio. E la sua testimonianza più autenticamente cristiana è stata questo silenzio mite che non si oppone al male, il silenzio di quell’agnello condotto al macello nella Scrittura. Il Papa ci ha messo in crisi: la crisi di essere stati messi con le spalle al muro dalla sua vera libertà. Ci ha mostrato che la Chiesa è viva, lo Spirito continua a plasmarla e il cristiano è un uomo libero».Con semplicità il Santo Padre – conclude il giovane catechista – «ci ha insegnato che il potere non è suo, ma di Dio e a Dio va reso. Ci sembra strano che il Papa ammetta pubblicamente i propri limiti, che non li mascheri, non li nasconda. Non vedo differenze tra questo Pontefice e Giovanni Paolo II: l’uno ha mostrato senza vergogna la sua sofferenza; l’altro, giudicandola dannosa per la Chiesa di oggi, non ha avuto paura di annunciarla pubblicamente, scegliendo per sé la via della clausura e della preghiera».