sabato 13 novembre 2010
La famiglia di Bibi Asia, la donna cristiana condannata a morte in Pakistan per blasfemia, ha deciso di ricorrere in appello. Il vescovo di Lahore si è rivolto direttamente a Papa Benedetto XVI. All'appello alla mobilitazione di Tv2000 hanno risposto il sindaco di Roma Alemanno e l'Azione cattolica.
- Norma da cancellare, pressioni da esercitare di Riccardo Redaelli
COMMENTA E CONDIVIDI
La famiglia di Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte in Pakistan per blasfemia ha deciso di ricorrere in appello. Il marito della donna ha infatti presentato un ricorso presso l'Alta Corte di Lahore contro la sentenza pronunciata da un tribunale del distretto di Nankana, secondo quanto riferiscono alcuni media locali. Bibi è la prima donna pakistana a essere condannata a morte in base alla severissima legge sulla blasfemia spesso invocata contro le minoranze religiose. LA MOBILITAZIONEDopo lo sconcerto, la mobilitazione. La sorte di Asia Bibi, la 37enne madre pachistana di due bimbe, condannata a morte domenica scorsa con l’accusa di avere offeso il profeta Maometto, sta suscitando reazioni internazionali. E la comunità cattolica locale chiede solidarietà e un concreto appoggio per una revisione della condanna. Così ieri si è rivolto direttamente a Papa Benedetto XVI monsignor Bernard Shaw, vescovo ausiliare di Lahore, la diocesi nel cui territorio si trova il villaggio di Ittanwali dove fino allo scorso anno viveva Asia Bibi con il marito Ashiq Masih (50 anni), la prima donna pachistana cristiana condannata a morte per blasfemia. «Rivolgiamo un accorato appello al Santo Padre perché possa pregare, intercedere, parlare a favore di Asia Bibi. Chiediamo che le venga garantito il perdono e sia liberata. Invitiamo la comunità internazionale ad alzare la voce, fare pressioni e operare a tutti i livelli per la salvezza di un’innocente. Diciamo a tutte le madri pachistane: Asia è una mamma come voi, difendetela, non lasciate che i suoi figli diventino orfani». Dopo avere affidato all’agenzia Fides questo appello accorato, il prelato ha detto di sperare nella reazione della società del suo Paese, «dove esistono organizzazioni cristiane e musulmane che lavorano per la pace e l’armonia, per contrastare il fanatismo religioso e per annullare la polarizzazione tra le comunità».Proprio la società civile pachistana si sta mobilitando in queste ore. «Sosteniamo Asia Bibi e organizzeremo un’ampia campagna di protesta in suo favore – dichiara Mehdi Hasan, presidente della Commissione per i diritti umani del Pakistan –. Faremo tutti i passi necessari, a livello legale, perché il giudizio sia capovolto in appello dall’Alta Corte di Lahore. Il suo caso è emblematico dell’abuso della legge sulla blasfemia a danno delle minoranze religiose ed è un chiaro esempio di violazione dei diritti umani». Ancora una volta, al centro delle accuse e all’origine di una situazione che va facendosi sempre più pesante per la piccola comunità cristiana nel secondo Paese musulmano al mondo, sono gli articoli del Codice penale che complessivamente prendono il nome di “legge antiblasfemia”. Lo ricorda ancora una volta Peter Jacob, Segretario esecutivo della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale pachistana. Definendo la situazione di Asia Bibi denunciata per avere espresso le sue convinzioni sull’attualità e universalità della figura di Cristo, «un autentico oltraggio alla dignità umana e alla verità», Jacob ha confermato che i cattolici faranno «di tutto perché il verdetto venga smentito e rovesciato in appello, presso l’Alta Corte di Lahore». L’avvocato musulmano Aslam Khaki si è offerto per la difesa di Asia Bibi e propone un duplice appello: uno presso l’Alta Corte di Lahore, dove si potrà chiedere all’accusa di presentare prove concrete; uno presso la Corte federale della Sharia (ovvero della legge coranica), dato che «la stessa legge islamica vieta la pena capitale per le donne e per i non-musulmani».«Chiedendo l’abrogazione della legge antiblasfemia, non vogliamo incentivare atti dissacranti verso il Profeta – precisa il vescovo di Faisalabad e presidente della Caritas Pakistan, monsignor Joseph Coutts – ma deploriamo la sua applicazione: se si vuol colpire un avversario o un nemico, lo si accusa di blasfemia. La legge si presta a tali abusi perché non prevede l’onere della prova a carico di chi accusa: basta una testimonianza o una dichiarazione». Determinato e coraggioso l’impegno della Chiesa cattolica pachistana, ribadito ieri dal vescovo Coutts, «a sostenere la famiglia di Asia Bibi e tutte quelle ingiustamente colpite da questa legge». Stefano Vecchia
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: