mercoledì 14 giugno 2023
Nel giorno della festa, in basilica un flusso continuo di fedeli. Parla il rettore Ramina. Il vescovo Cipolla: un'umanità che chiede giustizia e pace
Pellegrini in Basilica a Padova per l'omaggio a sant'Antonio

Pellegrini in Basilica a Padova per l'omaggio a sant'Antonio - Boato

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«Tanti, tantissimi pellegrini». C’è gioia negli occhi del frate della Basilica antoniana che osserva, dopo gli anni della pandemia, la moltitudine di devoti che, ieri, fin dalle prime luci dell’alba hanno invaso la basilica nel giorno della grande festa del taumaturgo, il santo dei miracoli.

Vengono a piedi, in bicicletta, in gruppo o in solitaria, sono di tantissime e diverse provenienze e ininterrotto è il flusso delle due file di pellegrini, quelli che entrano in basilica per partecipare alle celebrazioni eucaristiche (12 in tutto, una in più dello scorso anno, dedicata alla comunità albanese), e quelli che transitano davanti all’arca del Santo, là dove è tradizione e devozione poggiare la mano per chiedere e ringraziare, per pregare e affidarsi e poi lasciarsi avvolgere dalla maestosa bellezza della basilica con le sue cappelle, in primis quella delle reliquie, per un’altra sosta.

Terminate le restrizioni degli anni scorsi, la devozione è tornata a farsi sentire ed è tornato il desiderio di esserci, di toccare la pietra che custodisce il corpo del Santo, di lasciare una candela, un mazzo di fiori, una foto, una supplica o un ringraziamento.

Una devozione internazionale, senza confini, verso un santo che attraverso i secoli, non perde familiarità e attualità e continua ad attirare fedeli, che giungono certi di trovare accoglienza: «Chi si rivolge a sant’Antonio – commenta padre Antonio Ramina, rettore della basilica – fa l’esperienza di essere ascoltato. Sant’Antonio accoglie e ascolta. Inoltre di lui a attira l’immagine di un santo che ha tra le braccia Gesù e il pane, che mette insieme due dimensione di fede importanti e immediate: la possibilità di stabilire con il Signore un rapporto affettivo, e l’importanza della nostra solidarietà verso chi ha bisogno attraverso il simbolo eloquente del pane spezzato e condiviso».

Ma questo bagno di pellegrini dice molto anche della devozione popolare che, prosegue padre Ramina, «ci rimanda a un registro della fede che è affettivo e tattile. Nello stesso tempo la pietà popolare è uno spazio che ci dice l’importanza del camminare insieme, della comunione. La pietà popolare ha la capacità di fare corpo, di ricordarci che la Chiesa è comunione di persone».

I più da sant’Antonio, infatti, arrivano in piccoli o grandi gruppi, famiglie, parrocchie, comunità, diocesi (come è tradizione durante la tredicina che prepara alla festa). Ma quest’anno più che mai sant’Antonio richiama al grande dono della pace. La pace è il leit motiv del “Giugno antoniano”, il programma di eventi culturali, spirituali e religiosi del mese della festa del Santo dei miracoli.

«La predicazione di sant’Antonio è sempre stata finalizzata a costruire relazioni, a ristabilire comunione, a portare concordia in zone dove questo grande dono era in pericolo. Recuperare sant’Antonio come predicatore orientato a ristabilire rapporti di pace ci è sembrato quantomai significativo quest’anno», conclude il rettore.

Il richiamo alla pace è la filigrana anche del messaggio congiunto inviato pochi giorni fa ai fedeli e scritto a quattro mani dal rettore Ramina e dal vescovo di Padova, Claudio Cipolla, che ieri ha presieduto la Messa solenne, durante la quale ha ricordato tre argini che rischiano di rompere il fiume in piena dell’umanità che chiede pace e giustizia.

Quello delle guerre, «dall’Ucraina al Sudan, fino alle tante guerre di cui non si parla», collegate al rischiosissimo tema «degli armamenti nucleari»; quello delle migrazioni, con la moltitudine che «bussa per essere accolta in Europa scappando da situazioni di pericolo e di povertà, così gravi da giustificare il rischio della vita»; quello dei giovani con anche la fatica di educare le nuove generazioni a cui è stato offerto molto in termini materiali, ma forse oggi cercano altri riferimenti «che solo il cuore trasmette: virtù, valori, significati!», e che «forse cercano un senso da dare alla propria vita, un senso che spesso il benessere narcotizza e inibisce».

La fragilità degli argini, ha ricordato il vescovo Cipolla, va sanata andando alle sorgenti del problema: «Occorre prevenire e ripensare».

Ecco allora l’invito a cercare strade nuove anche in spazi non ancora sufficientemente esplorati «dove si collocano gli elementi che stanno all’origine dei pericoli». Mondi che hanno bisogno di parole nuove, bisognosi di Vangelo, sono quelli della grande finanza che detiene le sorti dei paesi – ha ricordato il vescovo di Padova – ma anche quelli «dell’etica, della ricerca, della definizione, nel qui e ora, di ciò che è bene e di ciò che è male per l’uomo e per la donna di oggi, per la nostra società, per il nostro pianeta». Da qui la richiesta al Signore del dono della sapienza e supportati dalla testimonianza di sant’Antonio che «con coraggio ha affrontato mondi nuovi e si è dedicato a portare il Vangelo sull’esempio degli apostoli, ovunque ci fossero manifestazioni di male».


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