Amoris laetitia, dottrina rispettata. Novità nella continuità. Parola del cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i Testi legislativi. Offrire ai divorziati risposati la possibilità di essere riammessi all’Eucaristia – secondo un percorso pastorale guidato dal discernimento e ispirato da una prassi penitenziale che può proseguire anche per lungo tempo – non è uno "strappo" dottrinale ma si inquadra in una logica di accoglienza del peccatore che, lungi dal giustificarne il comportamento, rispetta la norma e la tradizione, pur in maniera originale e dinamica. Il cardinale Coccopalmerio arriva a questa conclusione al termine di un ragionamento condotto in modo preciso ed essenziale nel libro Il capitolo ottavo dell’Esortazione post sinodale Amoris laetitia. Accompagnare, discernere e integrare le difficoltà (Edizioni Lev).
Il percorso seguito dal cardinale canonista è chiaro. Innanzi tutto mostra la certezza della dottrina su matrimonio e famiglia presentata all’interno del documento di papa Francesco. Poi spiega perché la Chiesa ha avvertito l’esigenza pastorale di attualizzare la sua proposta nei confronti delle coppie più fragili, non solo quelle che hanno visto fallire il loro progetto di vita a due, ma anche coloro – e le statistiche ci raccontano che sono sempre più numerose– che si sono poi impegnate in una nuova unione. Proprio quelle persone che, alla luce di una interpretazione esclusivamente normativa, la Chiesa ha troppo a lungo lasciato sulla soglia. Come è noto, la svolta tracciata da Amoris laetitia – senza interrompere il lungo cammino del magistero e della dottrina ma sviluppandolo e indicandone un’evoluzione coerente come sempre avvenuto nella storia della Chiesa – ha suscitato qualche malumore. Quattro cardinali (Raymond Burke, Carlo Caffarra, Walter Brandmuller e Joachim Meisner) sono arrivati addirittura a rendere pubblica la lettera inviata al Papa in cui, secondo la prassi canonica, si esprimono riservatamente dubia su questa o su quella questione. Ne abbiamo lungamente parlato anche su queste pagine.
Ieri però, alla presentazione del libro del cardinale Coccopalmerio, il direttore dell’Editrice vaticana, don Giuseppe Costa, ha precisato che il volumetto non è un testo di risposta ai quattro cardinali, ma rappresenta una voce comunque autorevole che interviene nel dibattito. Anche perché – ma questo don Costa non l’ha riferito – il Papa considera che non ci sia bisogno di alcuna risposta vista la chiarezza del documento postsinodale. Per chi proprio avverte la necessità di uno schema applicativo dell’ottavo capitolo, c’è il documento dei vescovi di Buenos Aires, dello scorso settembre. Quello definito da Francesco «un testo molto buono. Non ci sono altre interpretazioni».
Sulla stessa linea si muove il breve ma chiarissimo saggio di Coccopalmerio. «Il pregio principale del libro – ha spiegato ieri durante la presentazione il teologo don Maurizio Gronchi, consultore della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi – è quello di far parlare il documento, lasciando emergere ciò che a un rapido sguardo, fin troppo sbrigativo, rischia di venir trascurato, se non sacrificato o ancor peggio travisato».
Il cuore della questione, secondo quanto spiega Coccopalmerio, è il proposito del cambiamento. Le persone che vivono in condizioni di "irregolarità" – le virgolette sono usate nel testo di Amoris laetitia – sono «coscienti della loro condizione di peccato... si pongono il problema di cambiare e quindi – si legge nel testo – hanno l’intenzione o, almeno, il desiderio di cambiare la loro condizione». La serietà della questione di coscienza è quindi il punto decisivo, come argomentato anche da don Gronchi, per «la possibilità di accedere ai sacramenti da parte di coloro che non riescono ad astenersi dai rapporti coniugali».
Una situazione che, secondo quanto scrive il presidente del Pontificio consiglio per i Testi legislativi, non fa venir meno né la dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, né quella del sincero pentimento, e neppure la dottrina della grazia santificante. «Ed è proprio questo – conclude – l’elemento teologico che permette l’assoluzione e l’accesso all’Eucaristia, sempre nell’impossibilità di cambiare subito la condizione di peccato».