sabato 27 aprile 2013
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Il termine che nella Bibbia corrisponde meglio all’idea di responsabilità è forse quello di "custodia"». E «custodire vuol dire stare accanto all’altro con attenzione d’amore, rispettando e accompagnando il suo cammino, facendosene carico, coltivando la sua vita come bene assoluto». Lo ha ricordato l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, parlando ieri pomeriggio davanti a 800 delegati riuniti a Roma per il Convegno delle presidenze diocesane dell’Azione cattolica sul tema «Abitare il mondo da figli. Educare oggi alla corresponsabilità». All’inizio della sua relazione Forte si è richiamato a quanto detto da papa Francesco nella Messa inaugurale del suo servizio come vescovo di Roma. «Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!», aveva detto infatti il Pontefice. E aveva aggiunto: «La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo». 
Nella sua riflessione l’arcivescovo di Chieti-Vasto si è soffermato poi «su tre ambiti», e cioè «l’uomo come custode del creato, come custode dell’altro e come custode di Dio, che a sua volta lo custodisce in modo peculiare nel Suo popolo, la Chiesa dell’amore». E Forte ha concluso ciascuna delle tre parti in cui si è articolato il suo intervento con alcune indicazioni concrete all’uditorio.
La «scelta pedagogica» dell’Ac – ha detto – «dovrà proporsi sempre più di educare all’atteggiamento della "custodia" del creato, radicato in un’etica e in una spiritualità ecologiche fondate nella fede trinitaria». E così «la sensibilità alla dignità del lavoro, alla relazione di rispetto verso la grande "casa" del mondo e alla celebrazione feconda della festa, nel riposo rigenerante specialmente dell’ottavo giorno, dovranno essere attenzioni costanti, presenti in tutte le fasi della vita di chi aderisce all’Azione cattolica e al suo progetto formativo». Il «protagonismo laicale» proprio dell’Ac, ha poi aggiunto Forte, vuol dire anche che «ciascuno viva la propria dignità personale e riconosca l’altrui, assumendosi la responsabilità comune e quella per l’altro, specialmente se debole, indifeso e senza voce». E «anche per questa ragione, nella sua storia, l’Associazione ha saputo esprimere straordinarie figure al servizio della carità politica e dell’impegno storico per il bene comune, educate dall’esercizio della corresponsabilità vissuto nell’esperienza associativa». «Nella Chiesa e per la Chiesa», ha infine spiegato l’arcivescovo di Chieti-Vasto, l’Ac «è chiamata ad essere singolare casa e scuola di comunione». E così «collaborando con il ministero gerarchico, i laici dell’Associazione devono pronunciare con la parola e con la vita il triplice "no" - al disimpegno, alla divisione, alla nostalgia del passato -, e il triplice "sì" - alla corresponsabilità, al dialogo nella comunione e nell’obbedienza necessaria e alla perenne riforma secondo il Vangelo di Gesù».
L’intervento di Forte è stato preceduto da un momento di preghiera guidato dall’assistente ecclesiastico generale dell’Ac Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina, e da un saluto introduttivo del presidente nazionale Franco Miano, che tra gli applausi del delegati ha inviato un «grato saluto» al papa emerito Benedetto XVI, manifestando «grande affetto e gioia» per papa Francesco. Il presidente ha quindi rinnovato la preghiera dell’Associazione per la «nostra Italia» e ha indirizzato un pensiero al presidente Giorgio Napolitano, «che ha accettato di rimettersi in gioco», ribadendo che l’Ac sarà sempre protagonista «presente, vigile, partecipe» nella vita sociale del Paese.
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