Nell’ormai lungo percorso avviato dalla Chiesa italiana per affrontare in modo sempre più consapevole e trasparente il dramma degli abusi sui minori, è stata evidente fin dall’inizio l’importanza di momenti specifici di formazione, finalizzati un lato a diffondere una cultura indirizzata a costruire una nuova sensibilità preventiva nelle nostre comunità, dall’altro ad offrire elementi specialistici per una conoscenza sempre più approfondita. Il seminario sull’indagine previa organizzato l’altro ieri dal Servizio nazionale tutela minori, ha permesso di chiarire i passaggi e le caratteristiche di un momento fondamentale, quello in cui si deve valutare la notizia di un possibile abuso. Ne parliamo con padre Luigi Sabbarese, scalabriniano, decano della facoltà di diritto canonico all’Urbaniana, membro del consiglio di presidenza del Servizio tutela minori della Cei e, dal 13 settembre scorso, Vicario giudiziale del Tribunale ecclesiastico del Vicariato della Città del Vaticano, che ha coordinato i lavori del seminario Cei.
Padre Sabbarese, proviamo a spiegare in modo semplice cos’è l’indagine previa, chi deve disporla e quali sono gli obiettivi?
Bisogna preliminarmente precisare che l’indagine previa è una fase previa al processo, e quindi non è da confondere con il processo penale propriamente detto. Essa si deve disporre quando si ha notizia di un possibile delitto, la cosiddetta notitia criminis, ed è necessaria in quanto ho lo scopo di verificare se sia possibile passare dalla verosimiglianza della notizia di un eventuale delitto alla sua probabilità. Si tratta insomma di una prima verifica della notizia di un delitto. Tale obbligo è di competenza dell’Ordinario, diocesano o religioso; l’Ordinario può procedere sia personalmente sia per mezzo di una persona idonea da lui incaricata, anche se è preferibile che non sia l’Ordinario ad intervenire direttamente. Può disporre l’indagine previa l’Ordinario del luogo del domicilio del probabile autore del delitto, oppure l’Ordinario del luogo ove il delitto è stato commesso, come anche l’Ordinario di incardinazione del chierico. Per gli Istituti religiosi e le Società di vita apostolica clericali di diritto pontificio sono Ordinari i Superiori maggiori. L’Ordinario, o un suo delegato, deve, attraverso l’indagine previa deve verificare la fondatezza della notizia del crimine, ma esula dalle finalità dell’indagine previa quella di raggiungere la certezza morale. Questa finalità appartiene propriamente al processo penale vero e proprio.
Perché è così importante mettere a punto dei criteri condivisi per condurre questa indagine?
L’indagine previa costituisce un momento molto delicato a partire dal quale si può determinare il destino di eventuali vittime, persone lese, e di eventuali abusatori. I criteri dell’indagine, oltre alle scarne indicazioni presenti nel Codice di diritto canonico latino e orientale, sono stati esplicitati in maniera più ampia nel Vademecum del dicastero per la dottrina della fede. La condivisione di criteri comuni, che però devono tener conto delle situazioni peculiari di ogni caso, è poi necessaria perché l’indagine previa presenta alcune specificità; ad esempio, in riferimento all’obbligo di ascoltare o meno l’indagato al fine di valutare se vi possa essere il rischio reale di inquinare le prove necessarie in un eventuale processo penale; in riferimento alla parte lesa, comunemente detta vittima, è necessario valutare se ascoltarla o meno, e se, minorenne, a quali condizioni può essere ascoltata. Il Vademecum, come pure le Linee guida della Cei e della Cism, suggerisce di attenersi alle norme degli ordinamenti civili, e comunque di ascoltare un minore sempre in presenza di un adulto di fiducia e di evitare contatti con l’accusato.
Non c’è il rischio di confondere i compiti dei Servizi diocesani o interdiocesani per la tutela dei minori con le funzioni che spettano invece alla magistratura?
Questo rischio può essere presente ma deve essere assolutamente allontanato. I Servizi rientrano in quella azione pastorale della Chiesa che si pone in ascolto sia delle vittime sia di quanti intendono presentare segnalazioni di eventuali fatti delittuosi e chiedono alla Chiesa di essere accompagnati a seconda delle circostanze dei casi. I Servizi possono fare questo attraverso i centri di ascolto o tramite esperti che si pongono a servizio delle diocesi e degli Istituti.
Quali sono le competenze professionali richieste a chi conduce un’indagine previa?
Chi conduce l’indagine previa ha, secondo il Codice, le medesime funzione affidate all’uditore in un processo; cioè può decidere quali prove raccogliere e in quale modalità farlo. Ciò presuppone una certa esperienza canonica, oltre che una esplicita idoneità a condurre l’investigazione. Poter decidere quali prove ammettere e quali no è estremamente delicato, richiede perizia canonica, prudenza, discernimento.
Come si inquadrano questi momenti di formazione, sia quello dell’altro ieri sia quello che si svolgerà il 28 e 29 ottobre rivolto a Usmi e Cism, nel cammino di sensibilizzazione avviato dalla Chiesa italiana?
Si tratta di eventi diversi che tuttavia convergono nel raggiungimento di uno scopo comune: far recuperare il volto della Chiesa come comunità in cui sono possibili relazioni sane, costruttive, maturanti. Formare operatori validi e qualificati per condurre le indagini previe e i processi penali costituisce una forma alta di tutela ma anche di prevenzione che assicura la giustizia nella compagine ecclesiale. Puntare poi a creare già nella formazione iniziale al sacerdozio e alla vita consacrata una mentalità nuova che si esprima in una cultura della prevenzione e della tutela da ogni forma di abuso è compito che riguarda la Chiesa di oggi e del futuro: la sua autorità è posta nel servizio secondo il modello di Cristo. Sia nel ministero ordinato sia nella consacrazione religiosa bisogna avere consapevolezza che la questione degli abusi è questione squisitamente teologica: investe cioè la natura e la missione della Chiesa e di quanti hanno donato la loro vita per servire e non per dominare, per educare e non per sedurre.
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